Titolo originale: Starve Acre
Paese di produzione: UK
Anno: 2023
Durata: 98 min.
Genere: Drammatico, Horror
Regia: Daniel Kokotajlo
L’idilliaca vita rurale di una famiglia serena e abitudinaria viene messa sottosopra quando il figlio inizia a comportarsi in modo strano e imprevedibile.
Giusto perché mi piace deprimermi, ho recuperato di recente Starve Acre, diretto e sceneggiato dal regista Daniel Kokotajlo e tratto dal romanzo La voce della quercia di Andrew Michael Hurley. Segue qualche inevitabile spoiler.
La cifra stilistica dell’horror recente sembra essere una tristezza senza fine. Non fa eccezione Starve Acre, un gradevole mix tra dramma familiare e folk horror, che assesta più di una mazzata emotiva allo spettatore. Non ho letto La voce della quercia, libro da cui è tratto il film, quindi non potrò (come spesso accade) fare paragoni tra le due opere o riflessioni sui diversi medium e tutto ciò che scriverò sarà legato a una mia personalissima interpretazione di Starve Acre. Il film si focalizza sull’elaborazione del lutto all’interno di una famiglia apparentemente normale, condizionata tuttavia dai problemi comportamentali del figlioletto, già causa di una piccola crepa nel legame tra Richard e Jules. Quando il piccolo muore, la crepa si allarga non solo per il diverso modo che hanno i genitori di affrontare la perdita, ma soprattutto per i diversi sentimenti che li legavano al defunto, condizionati, nel caso di Richard, da traumi passati legati alla campagna inglese in cui la famiglia aveva deciso di traferirsi. Come nei migliori drammi a sfondo sovrannaturale, è proprio in queste crepe che si insinua il male, anche se in questo caso bisogna parlare di una forza più ambigua, a cui si riallaccia l’anima “folk” dell’opera. Starve Acre, infatti, parla sì di morte, ma anche di una rinascita conquistata col sangue, di entità ambigue ed antiche come il mondo, che non sempre agiscono secondo canoni umani e di sicuro non si possono definire soltanto “buone o cattive”. Questa stessa ambiguità o, se preferite, questo continuo cambio di prospettiva, si ripercuote anche nel percorso di superamento del lutto intrapreso da Richard e Juliette, che procede lineare e separato, almeno all’inizio, per poi unirsi e riproporsi, in un continuo alternarsi di follia e solitudine, liberazione, stasi e di nuovo dolore, in un’altalena di sensazioni che la generale freddezza dell’opera mitiga a stento. Anche il finale, che pur insiste su dettagli horror più raccapriccianti e violenti, lascia una sensazione di malinconia inquieta, la curiosità morbosa, tanto per citare un dialogo del film, di sapere quale sarà il destino ultimo dei protagonisti e della sparuto gruppetto di fedeli in attesa della “primavera”.
All’inizio dicevo che l’horror recente punta più al dramma triste, ma un altro elemento distintivo degli ultimi anni è la scoperta di quanto siano terrificanti i conigli o le lepri. Dopo Caveat e Il morso del coniglio, il leprotto di Starve Acre (generato quasi sicuramente al computer ma abbastanza realistico da non darmi fastidio) è l’emblema dell’inquietudine, una creatura che si percepisce “sbagliata” o comunque aliena fin dall’inizio, pur essendo una perfetta rappresentazione del dolore: quando crediamo di essercene liberati, ecco che torna per morderci e allontanarci da chi ci vorrebbe aiutare, si nutre di noi e ci isola ancor più. Messer Leprotto è la punta dell’iceberg di una serie di dettagli stranianti, di una natura pericolosa ed incomprensibile, che nelle splendide immagini del film rimane ad osservare silenziosa e brulla, affascinante ma indifferente allo spettatore come solo la campagna inglese può essere. Questo tipo di ambientazione è perfetta per catturare e riportare su schermo le atmosfere tipiche del folk horror, ma aiutano anche le belle facce dei personaggi secondari e il loro modo molto “campagnolo” di parlare, mentre Matt Smith e Morfydd Clark sono la coppia ideale per interpretare i protagonisti. Prego i fan della coppia di non fraintendermi quando dico che i due attori hanno proprio il volto e l’atteggiamento di chi è vinto e stanco della vita, con un piede già in un mondo tutto suo, dove le parole e i contatti umani non servono e l’unica cosa che importa è abbracciare lo spleen oppure un’elegante follia. Ecco, elegante è proprio l’aggettivo perfetto per questo film che, come tutti gli slow burn, troverà tanti estimatori ma anche moltissimi detrattori, perché ha il non trascurabile difetto di avere un ritmo molto lento. Io, nelle ultime settimane, tendo stranamente a non addormentarmi e ho apprezzato molto Starve Acre, ma non ditemi che non vi avevo avvertito!
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