Titolo originale: Glorious
Paese di produzione: USA
Anno: 2022
Durata: 89 min.
Genere: Horror, Thriller, Visionario
Regia: Rebekah McKendry
Durante un viaggio notturno, Wes (Ryan Kwanten) si ferma in una tranquilla area di sosta in mezzo a un bosco. La macchina è carica di effetti personali, tra i quali un orsacchiotto e una misteriosa scatola rossa. Nel corso della notte rimarrà lì, dandosi all’alcol per dimenticare la traumatica recente rottura con la sua ragazza. Quando al mattino si sveglia, con i postumi della sbornia e senza pantaloni, si precipita nel bagno per vomitare, solo per essere disturbato dal suono di una voce amichevole proveniente dal box adiacente. Appartiene a JK Simmons e dice di chiamarsi Ghat. Le loro battute all’inizio sono giocose. Simmons, che parla senza mai farsi vedere, è gentile e curioso, finché non diventa più sinistro e inquietante.
J.K. Simmons e Ryan Kwanten sono i protagonisti di un’opera lovecraftiana meno frivola di quanto potrebbe sembrare
I migliori registi in campo horror sanno come trovare l’equilibrio tra eccesso e moderazione, consapevoli di fino a che punto poter spingere il genere e assicurando – al contempo – che la loro storia rimanga sufficientemente ‘credibile’ da tenere il pubblico all’amo. Con Glorious, Rebekah McKendry (Psycho Granny) riesce a trovare questo punto di contatto, esplorando i confini tematici e visivi di una narrazione metafisica e sfruttando al meglio il bagaglio emotivo molto concreto di un uomo disperato che incontra un semidio affabile, ma potenzialmente distruttivo in un sudicio bagno di un’area di servizio qualsiasi.
Con la sua intrigante – ma potenzialmente letale – premessa lovecraftiana e con alcune immagini davvero inebrianti, Glorious – che è stato presentato in anteprima al Fantasia e ora a Sitges – potrebbe piacere agli spettatori ‘domestici’ in cerca di un prodotto low budget bizzarro a sufficienza, considerate anche le presenze nel cast di J.K. Simmons, che presta la voce alla divinità che abita nel bagno, e di Ryan Kwanten, reso popolare dalle serie True Blood.
Wes (Kwanten), quando lo incontriamo per la prima volta, sta praticamente svenendo al volante della sua auto su una strada secondaria americana non ben identificata. Sudato e pallido, si ferma in un’area di sosta isolata; il modo in cui stringe la foto di una bella ragazza e lascia numerosi messaggi di supplica sulla sua segreteria telefonica dà un’idea del suo stato emotivo. Alzando il volume dell’autoradio, si scola una bottiglia di alcol e si lancia in quella che presto diventa una nottata di ‘caos’ personale; svegliatosi a faccia in giù nella sporcizia, si dirige verso il bagno e lì inizia il ‘divertimento’.
Attraverso la parete della toilette, che è stata imbrattata con un elaborato murale di un demone femminile con un gloryhole al posto della bocca (da cui il titolo del film, che è un gioco di parole), filtra una voce gentile (Simmons). Dopo qualche imbarazzante chiacchierata, la voce rivela di appartenere a un antico dio che è stato costretto a lasciare il suo stato etereo dal padre despota e sta iniziando a prendere forma corporea. Se ciò accadesse, l’universo intero verrebbe distrutto e solo Wes ha il potere di fermare gli eventi.
Con la porta d’uscita magicamente sigillata, assistiamo praticamente in tempo reale alle reazioni di Wes, che passa dall’incredulità e dalla paura alla rabbia furiosa, fino all’accettazione rancorosa. Ryan Kwanten mantiene Wes in grande tensione, mentre prova disperatamente a tenere insieme i pezzi, dando così un senso a questa straordinaria svolta degli eventi.
Accenni a segreti sepolti e a traumi del passato vengono lentamente svelati mentre Wes affronta il suo passato e il suo inevitabile destino. Il linguaggio misurato e in gran parte benevolo di J.K. Simmons è in deliziosa contraddizione con la totale carneficina che scatena nel bagno.
Mentre Wes incontra il suo creatore (o forse il suo disfattore …), l’abile sceneggiatura di Glorious scritta a sei mani da Todd Rigney, Joshua Hull e David Ian McKendry presenta un’intrigante esplorazione della vulnerabilità della condizione umana, della dannosa eredità della mascolinità tossica e del posto del peccato originale e della redenzione religiosa all’interno dell’umanità moderna.
Glorious, tuttavia, veste questi temi filosofici con leggerezza; i momenti di umorismo, da quelli più ironici a quelli totalmente assurdi, punteggiano (e spesso esaltano) i momenti più intensi del film, e le scelte visive non sono mai meno che sorprendenti.
Il direttore della fotografia David Matthews sfrutta ogni centimetro di questa peculiare location: specchi incrinati, angoli in ombra, lo strano bagliore pulsante e il muco appiccicoso che provengono dal gabinetto chiuso a chiave sono in netto contrasto con i flashback ben ritmati e impregnati del bagliore dorato della nostalgia.
La tavolozza dei colori di Glorious passa allora da porpora ultraterreni a rossi viscerali e al buio pesto della mente di Wes, mentre la colonna sonora spazia su tutto, dal death metal all’allegria disorientanti del brano Wait Till The Sun Shines, Nellie del 1905.
Insomma, un trip, ma non solo.
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