SAMI BLOOD [SubITA] 🇩🇰 🇳🇴 🇸🇪

Titolo originale: Sameblod
Nazionalità: Danimarca, Norvegia, Svezia
Anno: 2016
Genere: Drammatico
Durata: 110 min.
Regia: Amanda Kernell

 

L’emancipazione da una situazione di partenza castrante, che sia una d’origine o una condizione sociale, è una traccia narrativa di cui il cinema cosiddetto indie fa da sempre largo uso. Stessa strada segue il film della trentunenne svedese Amanda Kernell, che debutta estendendo un proprio precedente cortometraggio circolato al Sundance, e nonostante le correlazioni spontanee (con Jane Campion la più forte) tiene assieme un’opera capace di inserirsi in un doppio canale argomentativo – il coming of age e il tratteggio antropologico – in modo sensibile e onesto, affondando lo sguardo nelle zone oscure dell’identità dove si compie lo scisma fra native e formazione individuale.

Più che un racconto di formazione, “Sami Blood” è però il farsi di un lungo rito di passaggio, rivissuto nella memoria dell’anziana Christina, tornata in Lapponia per partecipare al funerale della sorella dopo una vita intera di esilio autoimposto. Christina ha rinnegato il proprio sangue Sami, la popolazione indigena lappone ancora oggi salda ad antiche tradizioni, e nel flashback centrale del film assistiamo al suo percorso di allontanamento volontario durante l’adolescenza. Nella descrizione storica ed etnografica di Kernell trovano posto l’allevamento di renne, i costumi, il dialetto, i canti, la simbiosi con la natura, gli accampamenti nelle lande nordiche più inospitali: negli anni Trenta tutta fonte di pregiudizio per i “progrediti” coloni svedesi. Il trattamento riservato ai Sami, agli occhi e sulla pelle della Christina adolescente (o Elle-Marja, suo vero nome), è quello riservato a una razza inferiore se non addirittura a una specie animale, tale da far assumere a una visita medica scolastica le sembianze di un’ispezione di un capo di bestiame.

Mentre all’interno della sua tribù vigono una chiusura stagna e un razzismo di rimando che ampliano le distanze fra ceppi, culture e aggregazioni sociali, Christina/Elle-Marja soffre le ripercussioni dell’isolamento. Come ogni adolescente rispettabile, si pone in aspro antagonismo con le leggi del modus vivendi al quale è costretta, presa (e persa) in una doppia gabbia, divisa fra i vincoli del mondo ancestrale in cui è nata, e in cui è destinata a crescere, e i richiami di una modernità che sembra respingerla a causa dell’eredità genetica. Una tensione che la ragazza risolve aderendo ideologicamente agli stessi pregiudizi a cui è sottoposta, sviluppando il inconciliabile che brucia nel cuore di ogni giovinezza: di distinzione e individuazione da un lato, di assimilazione e iscrizione a una cerchia dall’altro. Così, classicamente, scappa di “casa” e va incontro alle tappe del cammino di dai Sami, verso l’integrazione con la gente di città, Uppsala, attraverso la quale accede ai linguaggi del sesso, della letteratura, del contegno borghese, della frivolezza, della comodità, in un educativo che esercita fascinazione nel contrasto a norme, liturgie ed esigenze sostanziali dell’educazione (fisica, psicologica) Sami. La civiltà moderna, sede dell’azzeramento dei riti di passaggio, diventa così il rito che sancisce il passaggio identitario dalla rozza Elle-Marja alla contemporanea Christina, almeno in superficie.

Amanda Kernell, ispirandosi alla storia vera di sua nonna, inquadra il momento di transizione facendo di movimenti di macchina e dialoghi, trasferendo all’immagine la freddezza relazionale che circonda la protagonista, delineando in termini spaziali la cesura fra dimensione Sami e dimensione urbana, nell’opposizione di ambienti esterni e interni, quasi a tradurre materialmente l’ambivalenza della scelta di Christina. Senza grossi impacci estetici e metaforici, lo sguardo della ragazza (Lene Cecilia Sparrok, di bravura e naturalezza formidabili) è il solo punto di vista sulle iniziazioni che scandiscono gli eventi, ognuna delle quali è un passo avanti e un passo indietro, una liberazione e una frustrazione. L’affetto per un giovane soldato di famiglia altolocata e la frequentazione di un collegio femminile tanto schiudono ventagli di possibilità quanto erigono nuove regole e nuovi limiti, che mettono alla prova eccitazione e aspettative di Christina. Il crollo del muro di autodifesa potrebbe svelarle una sfumatura comportamentale, tramite l’esperienza di tolleranze insperate e ostracismi inattesi, stimolandola ad accettare l’impossibilità di cancellare i legami consanguinei. Ma è una meta irraggiungibile per l’ostinazione brutalmente duale dell’adolescente, che ha giusto il tempo di un ultimo furioso rito grazie al quale illudersi di uccidere la propria parte Sami, prima di fingere di diventare qualcun altro.

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L’ellissi che separa la quattordicenne Elle-Marja dall’ottantenne Christina serve ad Amanda Kernell per raggiungere una conclusione dove il rimorso tardivo adombra il patteggiamento col passato, con i modi in cui si attuano le decisioni spartiacque che determinano personalità e corso dell’ di ognuno. In quest’ottica “Sami Blood”, anche tolta la particolarità dell’ambientazione storico-geografica, affronta senza alzare la voce il dolore della lontananza, le falle dell’io sociale, i tarli del libero arbitrio; nella fattispecie non sbilancia giudizi su motivazioni, atteggiamenti o scopi, ma riflette la perenne impreparazione umana davanti all’istante in cui le conseguenze di un complesso di azioni si presentano a chiedere il conto.

Recensione: ondacinema.it

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By Anam

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