SAINT LAURENT [SubITA]

Titolo originale: Saint Laurent
Nazionalità: Belgio, Francia
Anno: 2014
Genere: Drammatico, Visionario
Durata: 150 min.
Regia: Bertrand Bonello

Dopo la piatta ispezione voyeuristica messa in atto da Jalil Lespert, Bertrand Bonello s’appropria del cognome “Saint Laurent“ e si libera dell’ingombrante nome “Yves“. Il suo Saint Laurent narra non di una vita, ma della di un’ nominale e di una duplice metamorfosi, storica e cinematografica: come e quando un nome divenne marchio, come il cinema può “de-museificare” un marchio fossilizzato e trasformarlo in simbolo eterno della decadenza.
Se l’Yves Saint Laurent di Lespert pretendeva di colmare i vuoti e di saturare un’identità sfuggente (mai “cui prodest?” fu così interrogativo), il Saint Laurent di Bonello aspira, e riesce, a svuotare (di senso) un “pieno”.

Per Bonello l’ex enfant prodige di Dior non è (solo) il bambinone sognatore che voleva giocare “gratuitamente“ con le forme. Il Saint Laurent bonelliano è, semplicemente e viscontianamente, l’ultimo dei decadenti, l’ultimo dei Dandy, un Ludwig di Baviera tragicamente fuori massimo. La sua non è dunque personale, come potrebbe esserlo in un tradizionale racconto biografico, ma storica.
Occultatore dell’orrore di anime che comunque “sono altrove“, Saint-Laurent è colui che, sposando i principi e le pratiche del dandysmo, ha saputo declinare la wildiana in tessuto scintillante e svolazzante nel quale eclissarsi. Se Yves è figlio del suo tempo, il “Santo” Lorenzo è icona, apparenza, miraggio. Un miraggio “in azione“, che si spegne ben prima della di Yves. Rifuggendo il diretto col mondo, con la “pelle” del mondo, Saint Laurent ricopre, manipola, cancella i difetti, sublima, s’impossessa dell’altro per farne ciò che dovrebbe essere ma che non può (più) essere. Una costatazione, questa, che lo spingerà, nel 1976, a rinunciare all’ideale, ad agiarsi sugli allori, a ritirarsi nel suo mausoleo.

Guarda anche  TIRESIA [SubITA]

Bonello manipola la materia biografica come Saint Laurent manipola i tessuti: per adornare la disperante nudità di corpi che non vogliono cambiare pelle. L’autore di Tiresia – altra metamorfosi, quella di un essere che, come lo stilista, “ha un dono e ne fa’ dono” all’altro – decostruisce il “ Bio-pic“, sfalda la cornice del quadro, ricaccia le (psi)convenzioni parafreudiane per erigere un monumento alla decadenza, allo splendore della decadenza. Oggetto inevitabilmente imperfetto, Saint Laurent deborda come può debordare un’opera che si vuole “totale“, eccedente come la foto-ritratto dello stilista, troppo grande perché entri in un furgoncino.
Nel momento in cui i paradisi diventano artificiali e la storica s’intreccia con la memoria selettiva di un personaggio di finzione, il della narrazione si frammenta, il racconto si sfalda (piccoli frammenti da un lato, sequenze-fiume dell’altro), lo schermo si scompone e diviene puzzle. Il lungo finale è in questo senso esemplare, dilatato e interminabile perché celebra, contestualmente, una duplice morte (quella del creatore Saint Laurent e quella dell’ultimo dei Dandy) e dà conto di una trasfigurazione (dal marchio all’icona) che si vorrebbe eterna. La trasfigurazione è, cosa oramai certa, l’unico “evento“ narrativo, l’unico processo che interessi l’autore de L’Apollonide.

Guarda anche  HIRUKO THE GOBLIN [SubITA]

La bellezza è nel passaggio, nella transizione. Tutto il resto è museo.

Recensione: spietati.it

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Related Posts