Titolo originale: Shilje sanghwang
Paese di produzione: Corea del Sud
Anno: 2000
Durata: 82 min.
Genere: Drammatico, Thriller
Regia: Ki-duk Kim
Un pittore di strada viene sistematicamente maltrattato dai passanti; quando una misteriosa ragazza lo invita all’interno di un teatro inizia la sua terribile vendetta.
Tuffandosi nei territori della pura invenzione Kim Ki-Duk firma la sua opera più sperimentale, dalla lavorazione ormai leggendaria (girata in 200 minuti, 10 macchine da presa, 2 videocamere digitali, 11 assistenti alla regia), punto di fusione di temi prediletti: la ferocia antiborghese e la riflessione sul linguaggio cinematografico. La prima non era mai stata tanto esplicita, straziante e disperatamente gore: il giovane protagonista anonimo – è un senza nome -, dopo un siparietto di claustrofobia fisico/psichica quasi lynchiana (un teatro fantasma in cui incontrare lo spettro del proprio rancore), si trasforma in angelo vendicatore deciso a rimettere i peccati della gente perbene: nonostante qualche luminosa dissolvenza (il solare riferimento al denaro) il suo torvo girovagare, occhi bassi senza parole (ché queste non servono più – la comunicazione non esiste), costituisce il motivo del film: (in)seguito da una telecamera digitale – il regista (al) femminile – esaurirà le varie tappe culminanti in un momento d’intensità insopportabile (l’incontro con l’amata, la migliore scena sentimentale mai girata dal coreano) fino ad uccidere il suo filmaker/creatore dissolvendo le maglie della storia.
Il tutto sublimato dal consueto estro figurativo (l’omicidio tra i fiori, il reticolo di vicoli) e trovate narrative impregnate di significati (la modella nuda che intasca le banconote); quando il velo onirico appare ormai squarciato e la messinscena tornata alla normalità – dacci oggi il nostro abuso quotidiano – in una manciata di secondi la sequenza finale opera una repentina inversione che costringe alla rilettura della pellicola, insinuando un macabro senso rivisitabile all’infinito. Non esiste (più) distanza tra il creatore e la sua opera (ma la fusione era già avvenuta ad altri livelli: il personaggio di REAL FICTION è pittore di strada come fu lo stesso regista), il giocattolo è nudo sotto gli occhi di tutti. A causa di un processo di rimozione quasi totale di pubblico e critica, questa miniatura insanguinata si è rivelata particolarmente invisibile nella produzione dell’autore; ma la visione è più che mai imprescindibile per godere appieno della sua poetica.
Spero che un giorno il pubblico scopra anche questo film (Kim Ki-Duk).
spietati.it