P’TIT QUINQUIN [SubITA]

Titolo originale: P’tit Quinquin
Nazionalità:
Anno: 2014
Genere: Commedia, Drammatico, Serie TV, Thriller
Durata: 206 min. [totale miniserie]
Regia: Bruno Dumont

P’tit Quinquin è la serie in quattro episodi scritta e diretta da Bruno Dumont e in grado di mescolare con sapienza il thriller morboso e la comicità slapstick. Presentato integralmente a Cannes 2014.

Essere in un ventre di vacca
Un’indagine di polizia stravagante, improbabile e ai limiti della farsa sui bizzarri crimini commessi in un villaggio costiero di Boulogne in preda al male, e una banda di giovani teppistelli guidata da P’tit Quinquin ed Eva, la sua innamorata. 

Quando, al termine della alla Sala Marriott sulla Croisette, il popolo di accreditati che aveva scelto di dedicare tre ore e venti minuti del suo tempo a P’tit Quinquin ha iniziato a ridestarsi dalle comodità del buio per elaborare concetti e letture sull’ultima fatica di Bruno Dumont, la reazione più evidente e immediata si è rivelata essere di puro stupore. Uno stupore insincero, per niente dominato da vezzi o snobismi intellettuali e neanche dettato da chissà quale naïveté: in tutta semplicità, e per farla breve, P’tit Quinquin aveva colpito e affondato con la sua sorprendente mise a metà tra la detection grandguignolesca e la comicità slapstick sia gli spettatori più fidati del cinema di Dumont sia la pletora di detrattori che da sempre accompagna le opere del cineasta francese. Un regista che fin dai suoi esordi ha sempre tracciato un confine, per lo più invalicabile, tra i suoi fedeli seguaci e gli acerrimi nemici: come dimenticare, d’altro canto, la bufera di fischi, improperi e fuga dalla sala a cui fu possibile assistere al Lido, durante e al termine della proiezione di 29 Palms?

Ora che Cannes è lontana, e P’tit Quinquin dopo il previsto passaggio televisivo in patria approda sotto la Mole Antonelliana per prendere parte alla trentaduesima edizione del Torino Film Festival, è arrivato il momento per dare corpo e senso ulteriore alle sensazioni lasciate dal primo impatto con questa strana creatura volutamente ibrida ma non per questo priva di quella compattezza – stilistica, ma anche morale – che da sempre è marchio facilmente identificabile del cinema di Dumont.

Ciò che colpisce immediatamente di P’tit Quinquin è la sua capacità di stravolgere completamente l’opera di Dumont operando non per contrapposizione ma piuttosto per ricalibratura dei toni: tempi e spazi, infatti, rimangono perfettamente aderenti alla messa in scena tipica del cineasta, rimandando in maniera diretta a La vie de Jesus, L’humanité, Flandres o Hors Satan. A cambiare non è neanche lo sguardo, visto che il quadro si compone sempre nel medesimo modo, così come la ricerca di visi e di corpi; si tratta piuttosto di un’inclinazione alla risata, un elogio del buffo e del surreale che fino a questo momento era stato tenuto a debita distanza. L’indagine di polizia, condotta con i tronfi balbettamenti che fecero la fortuna dell’ispettore Clouseau, è una vera e propria antologia di comicità, tra gag e ghignanti cadute nel grottesco.

Tutto questo apparato non fa venire meno la riflessione, oramai consolidata, di Dumont sull’umanità e la sua intrinseca barbarie pronta a deflagrare in ogni momento: anche per questo P’tit Quinquin si lascia avvinghiare da esplosioni di violenza e omicidi efferati, in un contesto sociale solo all’apparenza immobile ma in realtà in perenne bilico sul punto di non ritorno – in questo senso la sequenza della sparatoria nel bel mezzo della strada svela forse meglio di qualsiasi giro di parole le intenzioni di Dumont.

Il mito dell’oasi di tranquillità sconvolta da un’improvvisa escalation di violenza – alla base di molte detection, anche e soprattutto televisive, dell’ultimo trentennio, da Twin Peaks a Happy Town – viene affrontato da Dumont con il fatalismo a lui consono, eppure mai finora la sua messa in scena era apparsa così consolante, perfino tenera nella descrizione dei due giovani innamorati P’tit Quinquin e la sua coetanea vicina di casa.
La dimostrazione di un cambio di coordinate, che non smentisce il passato ma lo innerva di nuove intuizioni, lavorando il reale con occhi uguali e diversi allo stesso tempo.

Guarda anche  ANALOG

Recensione: quinlan.it

 

Come è stato il film ?
+1
0
+1
0
+1
0
+1
0
+1
0
+1
0
+1
0
By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

Related Posts

AGRAfilm è ONLINE AGRAfilm è OFFLINE