PLONGER [SubITA]

Titolo originale: Plonger
Paese di produzione: Francia
Anno: 2016
Durata: 102 min.
Genere: Drammatico
Regia:

Ne dice Catsick’s Lair (che l’ha anche tradotto):

Ho un debole per la Laurent regista, lo ammetto, più che per la “Shosanna” tarantiniana.
Adoro il tocco delicato della sua regia ed in particolare il suo delineare i personaggi femminili dei suoi film: gli sguardi di Charlie, la protagonista di “Respire”, mi spinsero a sottotitolarlo e la stessa cosa mi è successa con questo Plonger, ammaliato dall’energia della sua protagonista.
Paz e César s’incontrano ed è subito passione folgorante: li vediamo far l’amore in macchina in un paesaggio mozzafiato, ci immedesimiamo in César quando la guarda ballare, rapito dai suoi movimenti… eppure un primo campanello risuona subito (nelle nostre teste, almeno) quando lui – dal nulla – le chiede se vuole avere figli e lei, spontanea in maniera disarmante, dice di volere semplicemente del vino.
L’idillio dell’innamoramento però ha vita breve così, con uno stacco repentino, passiamo dalle scogliere allo stare rinchiusi in una macchina in mezzo al traffico: Paz si è trasferita a Parigi per stare con lui, l’amore è pur sempre forte ma la luce nei suoi occhi è coperta da un velo di tristezza via via sempre più opprimente. César la ama immensamente ma non può fare a meno di imporre la sua pragmaticità ad un’anima che vorrebbe solo essere libera: Paz cerca di adattarsi, arrivando anche a soddisfare il desiderio di dell’uomo che ama, ma tutto diventa estremamente più difficile. La sua stessa fotografia ne risente: è César stesso a dirlo, senza rendersene ancora pienamente conto, che quasi non la riconosce in questo suo passaggio da immagini piene di colori e dettagli a questi primi piani di volti in bianco e nero. Si sente vuota ed incarna un dolorosissimo ossimoro mentre lo urla disperatamente dall’interno del suo corpo pieno di vita, di una nuova vita. I piccoli gesti, più che i dialoghi, aiutano chi guarda a capire le dinamiche di coppia: César le impedisce di fumare, di bere, di viaggiare in posti potenzialmente pericolosi anche se questo vuol dire limitarla professionalmente e quando il figlio arriva, le cose non possono che peggiorare… la solitudine, le attenzioni costanti, la privazione del sonno e della propria autonomia/identità la portano ad allontanarsi sempre più con la mente e con il cuore. L’unica cosa che pare illuminarla è il suono dei segnali che arrivano dall’attrezzatura che le permette di seguire gli spostamenti di uno squalo che ha adottato: in quei beep – che César non sopporta e di cui non le chiede niente fino a quando non ne può più – trova una via di fuga, prima dell’anima, poi reale… segue i suoni intermittenti come fossero i battiti del suo cuore e decide infatti, contro ogni apparente logica, di mollare tutto (e tutti) per andare ad immergersi nelle acque del suo squalo, non senza salutare prima suo figlio Hector, in una scena davvero toccante che mostra tutte le contraddizioni del suo personaggio.
Paz mi è apparsa infatti da subito una moderna eroina romantica: una figura che idealizza tutto, dallo slancio incredibile ma incapace di stare ferma, se non nelle acque in cui si immerge dove trova un evidente sollievo da questo suo struggimento interiore. Una figura bellissima che dà ritmo e luce al film stesso ma dalla dualità in qualche modo distruttiva: la sua spasmodica ricerca di novità, azione e bellezza la porta sempre fuori, sempre lontano dal costruire qualcosa e la condanna paradossalmente ad un’infelicità certa; dualità che viene fuori anche dal suo nome: Paz è il nome che si è dato lei, preferendolo a Dolores, quello anagrafico… perché chi ama convivere col dolore?
Quello che accade nella seconda parte del film ve lo lascio scoprire: è fondamentalmente la parte dedicata a César… da film sui sentimenti si trasforma in una sorta di thriller, che vede l’uomo alla ricerca delle orme della sua donna, di quel vortice che ha lasciato. César è l’archetipo dell’uomo: vuole controllare, vero, ma è pragmatico; se Paz è un turbinio, César è un mare placido ed inamovibile. Vuole capire cos’è successo ma soprattutto vuole capire chi è Paz, perché l’altro rimane sempre un mistero, alla fin fine… e capita così che anche lui alla fine si ritrovi in acqua, ad inseguire quello squalo di cui non gli importava nulla ma che ora è l’unico tramite che può condurlo a lei.
“Quando le persone si muovono, quelli che rimangono fermi dicono che sono scappati” dice Paz alla fine… ma muoversi in continuazione (come gli squali!) per non andare da nessuna parte non è forse rimanere immobili?

Guarda anche  SYNDROMES AND A CENTURY [SubITA]

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