PILOT PIRX’S INQUEST (SubENG)

Titolo originale: Test pilota Pirx
Paese di produzione: Polonia, Unione Sovietica
Anno: 1979
Durata: 100 minuti
Genere: Fantascienza
Regia: Marek Piestrak

Sinossi:
Il comandante Pirx viene incaricato di guidare una missione spaziale sperimentale per testare un equipaggio misto composto da esseri umani e androidi di nuova generazione. La sua presenza è richiesta non tanto per le sue capacità tecniche, quanto per il suo intuito umano: deve scoprire se tra i membri sintetici si nasconde un difetto che potrebbe trasformare la missione in un disastro. Durante il viaggio, Pirx affronta un clima di sospetto crescente, dove ogni espressione, ogni gesto, ogni silenzio potrebbe appartenere a una mente artificiale che imita la vita ma non la comprende davvero. La verità emergerà solo quando la nave attraverserà la soglia del pericolo, costringendo Pirx a misurare ciò che rende umano l’essere umano.

Recensione
“Pilot Pirx’s Inquest” è uno di quei film che si muovono come una corrente sotterranea: sembra quieto, quasi dimesso, e poi ti accorgi che sotto la superficie ribolle qualcosa di inquietante. È una fantascienza fredda, asciutta, priva degli ornamenti che oggi popolano il genere – e proprio per questo ancora più disturbante, perché parla a bassa voce, ma parla direttamente all’osso.

La regia di Piestrak è chirurgica, quasi impassibile, come se imitasse lo sguardo degli androidi che studia. Ma dentro questa apparente neutralità si apre un mondo di ambiguità: ogni corridoio della nave, ogni stanza anonima, ogni volto che appare solo per un istante diventa un enigma. È un film che non corre mai, ma che avanza come una domanda che non puoi ignorare.

Pirx è un protagonista atipico per la fantascienza dell’epoca: non è un eroe brillante, non è un genio, non è un combattente. È un uomo normale, con i suoi dubbi, la sua lentezza, una sorta di umanità sghemba e disorganizzata che mette in difficoltà proprio chi dovrebbe imitarlo. Qui il film colpisce davvero: l’idea che l’imperfezione sia un valore, che la debolezza sia ciò che ci salva, che l’uomo sia definito più dagli errori che dalle sue qualità. Gli androidi sono troppo perfetti per sopravvivere al caos dell’universo – e il caos, paradossalmente, è vita.

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L’atmosfera è quella di un tribunale implicito, di un’indagine dove nessuno sa chi è l’imputato. La tensione non nasce dal pericolo immediato, ma da un’aria sospesa, quasi metafisica. Sembra di sentire un continuo ronzio sotto la colonna sonora: il suono di qualcosa che osserva, che registra, che analizza. Non è un film che ti terrorizza: ti sfianca lentamente, ti lascia nel dubbio, ti fa sentire osservato da presenze che non hanno volto.

La bellezza più strana del film è come riesca a riflettere la filosofia di Lem senza copiarla: quell’idea che l’umano non è definito dalla razionalità, ma dalla sua profondità irregolare, dall’incoerenza, dalla capacità di sentire ciò che non può essere misurato. Pirx non vince perché è forte: vince perché è umano. E l’umanità, nel film, è una sostanza imprevedibile che nessun algoritmo può simulare del tutto.

“Pilot Pirx’s Inquest” è un’opera che oggi sembra ancora più attuale: parla della seduzione della perfezione, dell’ombra lunga dell’intelligenza artificiale, del rischio di sostituire la fallibilità con la logica pura. È un film che non dà risposte, ma insinua un dubbio che vibra anche dopo la visione, come una domanda lasciata a metà. E nel suo ritmo lento, nel suo orizzonte fisso, nel suo silenzio quasi ipnotico, custodisce una delle riflessioni più sottili e luminose sul rapporto tra uomo e macchina.

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By Anam

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