PARADISE: FAITH [SubITA]

Titolo originale: Paradies: Glaube
Nazionalità: Austria, Francia, Germania
Anno: 2012
Genere: Drammatico
Durata: 115 min.
Regia: Ulrich Seidl

Croce e delizia
In Paradise: Faith Ulrich Seidl si chiede che cosa significa portare la croce. La protagonista Annamaria, tecnico radiologo, è convinta che il Paradiso si trovi in Gesù, e dedica le sue vacanze a opere missionarie, perché l’Austria possa essere ricondotta sulla retta via. Durante il suo pellegrinaggio quotidiano attraverso Vienna, la donna va di casa in casa, portando con sé una statua di trenta centimetri raffigurante la Madonna. Un giorno, dopo anni di assenza, il marito di Annamaria ritorna: è un musulmano egiziano relegato su una sedia a rotelle; a quel punto, gli inni di lode si uniscono ai litigi. Paradise: Faith racconta la via crucis di un matrimonio e il di amore, ed è il secondo episodio della Trilogia Paradise di Ulrich Seidl. Paradies: Love, la prima parte, è incentrata invece su Teresa, la sorella di Annamaria, che trova il paradiso in Kenya, in un amore più terreno.

Impietoso. Crudele. Pornografico. Blasfemo. E molto altro ancora. Il cinema di Ulrich Seidl si conferma ostico, per molti indigeribile, respingente. Il regista austriaco tortura il proprio pubblico, spesso impreparato e inconsapevole: quadri fissi, quadri squallidi, quadri interminabili, come Nabil che si trascina lungo i corridoi della casa. Paradise: Faith (Paradise: Glaube) è l’ennesimo pugno nello stomaco – ai benpensanti, all’Austria, al cinema commerciale, a ogni potenziale spettatore – di una filmografia rigorosa, quasi priva di sbavature.

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Ecco, le sbavature. Nella messa in scena geometrica di Seidl si colgono a volte delle crepe, spesso impercettibili, a volte più evidenti. In questo secondo capitolo della trilogia – Paradise: Love, Paradise: Faith e Paradise: Hope – è il cambio di stile, di messa in scena, con camera a mano, della lunga sequenza con la ragazza russa: un “tradimento” della staticità della macchina da presa, per seguire i movimenti inconsulti della ragazza e di Anna Maria, missionaria un po’ troppo adorante del di Cristo. La sequenza è interminabile, eccessivamente lunga persino per Seidl, a prima vista fuori posto: ma ancora una volta, nella faticosa lunghezza della scena, nel a corpo, si riconosce il cinema provocatorio del regista austriaco, la programmatica volontà di stremare lo spettatore, di gettargli addosso gli /orrori della società, della vita. La sofferenza, quindi, non solo mostrata ma anche percepita, vissuta. Altro che il 3D.

Il corpo. Seidl mette in scena il degrado morale, enfatizzato dal disfacimento del fisico, dalle forme imperfette, debordanti e poco attraenti dei corpi. Un’altra mancata concessione, un’altra privazione per lo spettatore. Non c’è voyeurismo, non c’è pornografia, anche quando appare palesemente davanti ai nostri occhi. La scena dell’ notturna nel parco pubblico, guardata con raccapriccio e al tempo stesso “sbirciata” da Anna Maria, potrebbe essere frettolosamente definita pornografia, ma nei membri e nelle penetrazioni viene a mancare qualsiasi forma di desiderio. In maniera ancor più netta rispetto al precedente Paradise: Love, il è un atto deprivato del proprio significato, dell’essenza. Per non parlare dell’amore.

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Partendo dal documentario Jesus, du weisst (2003), Seidl indaga l’abisso del fanatismo religioso e della frustrazione sessuale, intrecciando senza remore i due tabù: Anna Maria e la Madonna pellegrina, oltre agli onnipresenti e inquietanti crocifissi, sono i di uno smarrimento, di una cupa infelicità. Il diventa un peso per l’anima, una prigione, carne da martoriare per espiare i propri peccati. E i desideri repressi, tenuti a bada con frusta e cilicio, non potranno che emergere con forza: l’orgia, il ritorno del marito musulmano e paraplegico Nabil, il crocifisso e il corpo di Cristo.

La delle penitenze di Anna Maria, squallida e claustrofobica, è il centro del suo universo, il luogo oscuro della sua anima e della sua solitudine, come la camera d’albergo in Kenya della sorella Teresa in Paradise: Love. E come sarà, probabilmente, il campo per la perdita del peso di Paradise: Hope.

Recensione: quinlan.it

By Anam

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