MUSHI-SHI [SubITA]

Titolo originale: Mushishi
Nazionalità: Giappone
Anno: 2006
Genere: Fantastico
Durata: 131 min.
Regia: Katsuhiro Ōtomo

Meiji/Taisho, Un/A, luce/oscurità
Giappone, tra la fine dell’epoca Meiji e l’inizio dell’epoca Taisho. Il piccolo Yoki e la madre stanno camminando in montagna durante un forte temporale: il ragazzino è distratto da strane creature fluttuanti (i Mushi) e poi, all’improvviso, una frana travolge e uccide la madre. Nui, una donna misteriosa, trova Yoki e lo porta con sé. Qualche anno più tardi… 

La presenza in concorso alla 63a Mostra di Venezia di Katsuhiro Ōtomo è, a prescindere dalla riuscita o meno del suo lungometraggio, un segnale incoraggiante, l’ennesimo piccolo tassello che dovrebbe portare prima o poi all’abbattimento della barriera culturale/psicologica che tiene lontani troppi spettatori e persino giornalisti e critici dalla cinematografia asiatica. Significativa la presenza, oltre a Ōtomo, di altre due grandi firme dell’animazione nipponica, Mamoru Oshii (The Amazing Lives of the Fast Food Grifters) e Satoshi Kon (Paprika), e dell’esordiente fuori dal comune Goro Miyazaki (I racconti di Terramare). Ed è da lodare, in questo senso, il lavoro di selezione coordinato dal direttore Marco Müller: il cinema, arte senza confini, dovrebbe essere osservato con sguardo lungimirante e non velato da pregiudizi.

Ōtomo, che aveva chiuso la 61a Mostra con il pirotecnico Steamboy, è noto soprattutto per il cult cyber-punk Akira, ma aveva già esordito alla regia di film “dal vivo” con World Apartment Horror (1991), comedy horror sui generis. Non stupisce più di tanto, quindi, che Mushishi (Bugmaster) segni il ritorno al cinema live: semmai, è da rimarcare l’evidente differenza di stile visivo e narrativo tra questa pellicola e le varie produzioni animate. In un certo senso, Bugmaster sembra speculare al suddetto Akira (lo stesso discorso vale, in buona parte, per Metropolis e Spriggan, diretti da Rintaro e Hirotsugu Kawasaki ma fortemente influenzati dalla collaborazione di Ōtomo). La celebre forza visionaria e la carica adrenalinica e spettacolare dell’autore nipponico, che si scatena soprattutto negli apocalittici finali, sembra rarefarsi, per poi annullarsi nella riuscita, misuratissima e poetica ultima sequenza.
La regia live di Ōtomo, tralasciando alcuni discutibili ralenti, convince soprattutto nei primi sessanta-settanta minuti: molte le sequenze, tra interessanti movimenti di macchina e quadri fissi impreziositi da una non comune composizione dell’inquadratura, che riescono a immergere lo spettatore in un’atmosfera di soffusa magia. Suggestiva senza dubbio la sequenza d’apertura con le montagne immerse nella nebbia, che riporta alla l’inizio di Mononoke Hime di Miyazaki: un legame non solo estetico tra i due lungometraggi, che condividono oltre all’ambientazione il medesimo interesse per il rapporto tra l’uomo e la e gli inevitabili cambiamenti dettati dal progresso dell’umanità e dal graduale abbandono dei riti e delle credenze ancestrali (e la conseguente scomparsa delle creature magiche, degli spiriti dei boschi e via discorrendo: esemplare il “rimpicciolimento” e imbarbarimento delle divinità animali in Momonoke Hime). Bugmaster, come il lungometraggio di Miyazaki, descrive un momento di passaggio (tra l’epoca Meiji e la successiva epoca Taisho): cambiamenti storici, politici e culturali che finiscono per cancellare tutto ciò che non può (o non vuole) adeguarsi. I mushi, invisibili a un occhio comune, non sono poi così lontani dai kodama. La natura nelle opere di Ōtomo e Miyazaki deve arrendersi al cambiamento, finendo per smarrire la dimensione magica.

Lasciano più di un dubbio, invece, i lenti e faticosi venticinque minuti che precedono il già citato e riuscito finale. Ōtomo, che non si è mai posto problemi di durata, sembra dilatare eccessivamente i tempi della narrazione, finendo per appesantire il già riflessivo Bugmaster. Non ne risentono, in ogni caso, le suggestive sequenze del della scrittura della bella Tanyu e dell’Arcobleno-Serpente.
Katsuhiro Ōtomo si conferma uno dei pochi autori capaci di impreziosire l’immaginario fantastico. Pur distante dalle vette di Akira (senza dimenticare Memories), il cinema live del maestro nipponico dimostra di avere un notevole potenziale. L’impressione è che Ōtomo abbia la capacità di trasferire dall’animazione al cinema live il suo sconfinato talento. Inevitabile ricordare la polivalenza, peraltro ricorrente tra i grandi nomi dell’animazione nipponica, di Ōtomo: regista, sceneggiatore (Metropolis), mangaka (Akira), animatore, supervisore (Perfect Blue di Satoshi Kon), mecha designer (Roujin Z di Hiroyuki Kitakubo) e via discorrendo.

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Recensione: quinlan.it

 

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By Anam

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