MAY [SubITA]

Titolo originale: May
Paese di produzione: USA
Anno: 2002
Durata: 93 min.
Genere: Commedia, Drammatico, Horror
Regia: Lucky McKee

Trama (im)modesta – May (una perfetta Angela Bettis) è giovane, carina e vagamente psicotica. Emarginata sin da piccola per via del suo occhio pigro, ha come unica amica una bambola che non ha nemmeno mai toccato perché troppo delicata e dunque chiusa in una teca di vetro. Un giorno May incontra un fascinoso ragazzo con velleità registiche, Adam (Sisto), che, al manifestarsi della sua ingenua nevrosi, la abbandona senza troppi indugi. Lo stesso succede con la svampita segretaria lesbica che lavora nella sua clinica veterinaria, Polly (Faris), che, dopo averla sedotta, la abbandona per una bambolona bionda dalle gambe mozzafiato. Realizzando di voler bene solo a certe parti delle persone a lei vicine, May decide di unire insieme quelle parti per creare Amy: l’amico perfetto. Insomma, scorrerà parecchio sangue.

La mia (im)modesta opinione – Ho sempre amato l’ibridazione di genere. Il genere chiuso, a sé stante è qualcosa di povero, chiuso, dalle risorse limitate. Aprendosi a tutti i possibili generi narrativi, invece, un film (ma anche una qualsiasi opera) riesce a scoprire incroci strani, originali innesti che danno vita a pellicole, come questa, forse non bellissime e coinvolgenti ma di cui si apprezzano le fosforescenze psicologiche e i vicoli segreti dell’animo dei loro personaggi.

May è un film di questo genere: storia di formazione, macabra commedia romantica, body horror, thriller psicologico. Quello che sorprende, nel film, è la sottigliezza psicologica che, con le sue sfumature, disegna un potente crescendo di riferimenti e situazioni. Vediamo (o meglio indoviniamo) le idee di May formarsi nella sua mente, guardiamo con i suoi occhi, sentiamo con le sue orecchie.
E May è un personaggio magari non statuario ma che di certo lascia il segno. Rotto il sottile guscio della sua consapevolezza, ignorante del mondo e dei suoi processi, May prova a ristabilire una sorta di nucleo di normalità all’interno della sua vita basandosi su indizi vaghi, fuorvianti che la porteranno inevitabilmente all’omicidio. Già lo vediamo nella sua bambola: inquietante manichino rinchiuso per l’eternità nella sua bara di cristallo dove può vedere ed essere vista ma non partecipare, non vivere.

La rottura della teca di vetro è la rottura del guscio in cui May era rinchiusa. Questo processo è chiaramente visibile nella profetica sequenza dell’apertura della teca: vetri rotti e sangue e ferite degli occhi di May. Vedere è soffrire. Ma poi viene Halloween, May si rimbocca le maniche, si veste come la sua bambola e va a creare il suo amico perfetto. E la sequenza della creazione di Amy (una specie di simil-Frankenstein) è un vero capolavoro di esplorazione psicologica e amaro e tetro umorismo macabro.

Inutile dirlo, il film ha il suo punto di forza nella superba Angela Bettis, con le sue forme nervose, il suo sguardo sgusciante, i suoi sorrisi intimi e amari, le sue passioni torbide. Grande prova di recitazione al fianco di quella un po’ sopra le righe e inverosimile di Anna Faris, stupenda ochetta svampita e sensuale. Per il resto il film è un horror senza horror. Il regista gioca con l’orrore come un prestigiatore raffinato mostrandolo e facendolo scomparire nella manica, mostrandoci senza esitazione la degradazione, l’imbarazzo a cui May è sottoposta e anche la sua crescita in negativo, la sua sanguinosa presa di sé, e poi la ribellione finale che la vedrà cavarsi il suo “occhio malefico”. Perché a May è stato insegnato a non accettarsi, a non socializzare (si dice nel film «Se non riesci a farti un amico, inventatelo») e non ha mai imparato a interagire, a giudicare.

Altra genialità del regista è quella di non narrare la storia di May dall’alto di un registro orrifico (che avrebbe preferito trasformare May in mostro ripugnante e sanguinolento) ma dal punto di vista distorto della deformazione grottesca. Ed è infatti il grottesco che regna sovrano nella pellicola: grottesco è il comportamento della lesbica Polly, grottesco è il film diretto da Adam (dove una coppia di fidanzati invece di fare l’amore si cannibalizza a vicenda, ponendo un inquietante parallelismo con la realtà delle azioni successive di May), grottesche sono le proporzioni e l’anatomia del corpo di Amy, l’amico perfetto fatto su misura di May.

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Il film dunque assume i cupissimi colori burtoniani di una favola nera (naturale è l’associazione fra May e la Selina Kyle di Batman Returns, compresa la mania del cucito) con una morale perversa e incerta. Ci si chiede infatti che cosa finisca per rappresentare il film: non è certo un horror convenzionale, non è uno slasher movie né un semplice thriller psicologico, non parla di una vera storia d’amore (il rapporto May/Adam fallisce quasi subito) né è splatter, non ha i toni del morality play né del quesito esistenziale, non è denuncia o provocazione. È solo May. May dovunque, con le sue disturbanti bambole e il suo inquietante cucito. Del resto, è risaputo, l’uomo è un burattino ed è il Diavolo che tira i fili.

Scena cult – Ma ovviamente lo splatterissimo cortometraggio di Adam, dove eros e cannibalismo si incrociano in un singolarissimo ed efficace matrimonio di suggestioni psicologiche.

Canzone cult – Difficile scegliere in un film dalla colonna sonora tanto ben fornita di polverosi pezzi di musica vintage ed elettronica ma, devo ammetterlo, i miei preferiti sono la triste canzone Do You Love Me Now? dei The Breeders e il divertente brano vintage Hanky Panky di Tommy James & The Shondells.

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By Anam

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