Titolo originale: Maniac
Nazionalità: Francia, USA
Anno: 2012
Genere: Horror, Noir, Poliziesco, Thriller
Durata: 89 min.
Regia: Franck Khalfoun
Frank (Elijah Wood), proprietario di un negozio di manichini, conduce un’esistenza solitaria e sull’orlo della paranoia quando viene contattato da Anna, una giovane artista che ha bisogno del suoi aiuto per una mostra. Con lo svilupparsi di un’anomala amicizia, Frank comincia ad essere ossessionato dalla ragazza e ciò fa sì che la sua compulsione a perseguitare e uccidere, a lungo repressa, prenda il sopravvento e lo trasformi in un pericoloso serial killer, con la passione per gli scalpi delle vittime.
Che Khalfoun fosse un regista promettente l’avevo capito sin dal primo film, il discreto e probabilmente sottovalutato – 2 Livello del Terrore (che titolo del cazzo… l’originale era solo un evocativo P2).
Ma il mezzo vanto del primo paragrafo viene subito annientato dalla vergogna che dovrei provare per non aver visto il Maniac originale, senza dubbio uno degli slasher più cult dei grandiosi, in questo ambito, anni 80.
Peccato, sarebbe stato bello fare un raffronto, specie per chi, come me, non ha mai alcun pregiudizio verso i remake.
Beh, il Maniac di Khalfoun è un thiller/horror/slasher per me sorprendente, capace di darmi più di quello che mi aspettavo in ogni suo aspetto.
Inevitabile non partire dalla regia perchè, oltre ad essere molto raffinata, ha tentato l’impresa di una quasi totale soggettiva. E attenzione, qui non parliamo di telecamerine, mockumentary o found footage, qui siamo davanti (finalmente) alla soggettiva tout court, ossia il vedere esattamente attraverso gli occhi del protagonista. Io non ho mai capito perchè in un genere come il mock in cui non si sa più che inventarsi per giustificare la presenza sempre e comunque della telecamerina, i registi, se propio vogliono restare in quel tipo di operazione, non utilizzino la soggettiva, che oltre a non aver biogno di “spiegazioni” ha anche una riuscita ancora più tesa e disturbante.
In Maniac tale tecnica oltre ad essere usata egregiamente ha anche un’assoluta “pertinenza” visto che quando si parla di serial killer ci sono poche cose più potenti della soggettiva.
Ecco, quello che non ho capito è perchè in certi momenti Khalfoun se ne privi tornando all’inquadratura classica in terza persona. Io avrei fatto un’operazione radicale, dall’inizio alla fine. Anche perchè trovavo magnifico vedere il killer -un sorprendente, davvero ottimo, Elijah Wood- soltanto nei riflessi (degli specchi, delle lame dei coltelli, persino in quello di una carrozzeria di automobile), nelle telecamere di sorveglianza, nello specchietto dell’automobole o nelle foto che gli scatta lei (bellissima idea).
Capisco per i flash back, ma per il tempo presente io la soggettiva non l’avrei mai abbandonata.
Maniac è un grande tuffo nello slasher anni 80, un pò perchè doveva (in omaggio all’originale) un pò perchè trasuda vera e propria adorazione per quel cinema. Dalla magnifica colonna sonora (che ricorda molto quella di Drive anche se essendo più varia e rarefatta non ha brani che rimangono in testa come quelli del capolavoro di Refn) all’efferatezza degli omicidi, dalla soggettiva all’uso di armi bianche, dall’uso della notte alla stessa figura del serial killer, molto più eighteen che attuale.
C’è moltissimo di Argento, basterebbe vedere la prima (ottima) scena per capirlo.
Ma c’è la sensazione che anche rifacendosi al passato il film riesca ad essere molto moderno.
Maniac è cattivo, visivamente privo di remore. Il killer fa lo scalpo alle proprie vittime, e noi non perdiamo nemmeno un dettaglio. C’è poi un accoltellamento frontale di violenza inaudita. Però, malgrado tutto, il film è così ben caratterizzato psicologicamente che lo spettatore non riesce mai a condannare del tutto il killer, non dico che possa riuscire a capirlo ma a vederlo anch’esso come una vittima sì, senz’altro. Il clichè dell’assassino seriale di donne diventato tale perchè vittima di abusi o traumi infantili (che poi clichè non è perchè nella realtà è così nell’80% dei casi) secondo me è gestito molto bene, in maniera molto umana e verosimile. Perfetta a tal propostio la scelta di Wood, viso adulto e bambino allo stesso tempo, perfetto per apparire efferato ma impaurito, cinico ma in cerca d’amore.
Tante le scene da ricordare con, per me, quella della della vasca da bagno sopra di tutte, costruita e dosata in maniera impeccabile.
Ho trovato veramente malfatto l’incidente in macchina finale, forse l’unico vero e proprio errore in una sceneggiatura che, diciamocelo, si limita abbastanza al compitino.
Ma il finale è perfetto. Tutte le vittime poi diventate manichini (bello il continuo giocare del film su questa contrapposizione) tornano di nuovo vittime.
Tutti i suoi demoni, i suoi fantasmi, i suoi sensi di colpa lo dilanieranno.
Proprio nel momento in cui, forse, stava iniziando a conoscere un sentimento che, per colpe non sue, nessuno gli aveva fatto conoscere mai.
Recensione: ilbuioinsala.blogspot.it
I’m A Fucking Dreamer man !