DEATH IN THE LAND OF ENCANTOS [SubITA]

Titolo originale: Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto
Nazionalità: Filippine
Anno: 2007
Genere: Drammatico
Durata: 540 min.
Regia: Lav Diaz

30 dicembre 2006, Bicol. Un maremoto provocato dal tifone Reming e dal vulcano Mayon annega nel fango migliaia di filippini. Benjamin Agusan, poeta autoesiliatosi in Russia, torna nel paese natale per cercare i cadaveri dei suoi cari.

Il racconto cinematografico dei postumi del tifone Durian, scagliatosi contro le Filippine il 30 novembre 2006. Il disastro naturale si associa a una più irreversibile catastrofe umana, dato il numero di perdite e la gravità della ferita collettiva di un intero popolo. Il poeta Benjamin Agusan (Roeder), nel frattempo, ritorna in patria.

Lav Diaz realizza uno dei suoi affreschi più imponenti, sia per durata, come sempre fuori formato (in questo caso si sfiorano le nove ore), che per ambizioni. La fenomenologia degli eventi fisici e naturalistici, nelle mani e nell’istanza titanica di Diaz, si materializza attraverso immagini di singolare potenza, in gran parte per mezzo di piani-sequenza possenti e di ruvidissima poesia, non paragonabili a quelli di nessun altro regista d’inizio nuovo millennio: una scelta formale che rende il cinema del cineasta filippino un gesto sovrumano. Una pellicola che non esita a sfociare nell’analisi antropologica e sociale, a sporcarsi le mani, a rivolgere lo sguardo indirizzandolo verso chi è quasi un tutt’uno con la propria e di fatto non possiede altro. Diaz ha infatti l’umiltà di prostrarsi ad altezza di fango, di andare a fondo in un’analisi a 360° della storia della sua nazione e addirittura l’autolesionismo di prendersi tutto, ma davvero tutto il tempo necessario (non si giustificherebbe in altro modo la durata fiume) per far esplodere sullo schermo qualcosa che lo spettatore possa vivere sulla propria pelle in tempo praticamente reale. Sullo sfondo, ma non troppo, rimangono l’indigenza del popolo filippino, quasi condannato alla condizione di perenne sopravvissuto, e l’inadeguatezza cronica quando non spietata e miope dei governanti di turno. Il risultato è un blocco audiovisivo generoso e magmatico, di sicuro non accomodante verso lo spettatore più frettoloso ma spassionatamente dedito ai risultati più giganteschi che il cinema può far propri nel momento in cui rigetta i compromessi. La commistione di fiction e documentario è portata a livelli molto alti, interviste incluse, per non parlare del lavoro enorme sull’immagine digitale, strumento di democratizzazione del visibile che per Diaz diventa ovviamente un mezzo da piegare al suo scopo, con un chiaro valore politico.

Recensione: longtake.it

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By Anam

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