LAO SHI [SubITA]

Titolo originale: Lao shi
Nazionalità: Cina, Canada
Anno: 2016
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 120 min.
Regia: Johnny Ma

Un uomo cade giù per le scale, ma invece di aiutarlo, i passanti si limitano a scattare foto con i loro telefoni. Lao Shi è un tassista e sta combattendo per la nei meandri più oscuri della società cinese.

Per colpa di un cliente ubriaco, il tassista Lao Shi investe un motociclista. Il malcapitato sembra in condizioni gravi, quindi l’autista, anziché aspettare la polizia, lo porta in ospedale; nel frattempo il cliente è fuggito. Il motociclista vivrà, ma le costose cure per tenerlo in vita sono addebitate a Lao Shi, che prova a rintracciare il cliente senza alcun successo.
Dopo Travis Bickle, ancora una volta è un tassista a superare il limite di sopportazione e affrontare la società di petto. Lo spunto di partenza è fornito da un tema di stretta attualità e di sconcertante gravità. In Cina si sono infatti verificati diversi casi di incidenti automobilistici in cui il responsabile ha infierito sulla vittima, uccidendola, per evitare di doverne coprire le spese mediche. In sostanza, in Cina è assai più conveniente l’omicidio colposo a seguito di un incidente mortale che la copertura dei danni procurati, interamente a carico di chi ha la responsabilità dell’incidente. Un grado zero della che agevola il grado zero della solidarietà umana.

Lao Shi si comporta da onesto cittadino e la sua condotta si dimostra controcorrente per la società: la mancanza di egoismo di Lao Shi è l’anomalia del sistema, senza eccezioni. Non uno dei personaggi – né la moglie, né il capufficio, né la polizia o l’avvocato – apprezza il nobile gesto del tassista, che ottiene solo sconcerto e diffidenza. L’escalation di spese da affrontare e umiliazioni subite porterà Lao Shi sempre più vicino al punto di rottura, trasformandolo in un nuovo “borghese piccolo piccolo”, che degenera in intenti di sommaria.
Il film di Ma, stilisticamente molto curato, si apre e si chiude su uno squillante schermo rosso e mantiene uno stile pseudo-documentaristico, vicino all’estetica dei fratelli Dardenne. Almeno fino alla mutazione del protagonista, dopo la quale la fotografia di Leung Ming-kai conduce l’estetica verso il noir di derivazione hongkonghese, cosparso di luci al neon.
Buona parte dei pregi e dei difetti di Old Stone è da ascrivere alla sua natura palesemente “da esportazione”. Johnny Ma, regista nato in Cina ma sostanzialmente newyorchese, si avvale del sostegno finanziario del Sundance Institute per girare un dramma sociale che evolve fin quasi a trasformarsi in un film di genere. Questa evoluzione in fieri di Old Stone è uno degli elementi destinati a dividere: se la messa in scena di Ma è ineccepibile, infatti, la deriva sensazionalistica dell’epilogo banalizza la tematica affrontata, preferendo seguire binari consolidati.
A parte qualche leziosità finale e qualche simbolismo troppo ovvio – le fronde degli alberi che si agitano, preludendo alla reazione di Lao Shi – una prova che dimostra il talento visivo di Johnny Ma.

Recensione: mymovies.it

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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