Titolo originale: Laissez bronzer les cadavres
Nazionalità: Francia
Anno: 2017
Genere: Thriller
Durata: 90 min.
Regia: Hélène Cattet, Bruno Forzani
Il menù per la perfetta estate mediterranea di Rhino prevede mare azzurro, sole ardente e 250 kg d’oro rubati con la sua banda. Ha anche trovato un nascondiglio ideale: un borgo abbandonato e remoto preso in mano da una artista in cerca di ispirazione. Sfortunatamente, però, ospiti imprevisti e due poliziotti compromettono il piano di Rhino e compagni: il luogo paradisiaco si trasforma lentamente in un raccapricciante campo di battaglia a causa di strani avvenimenti e orge.
Esistono due possibilità. Che Hélène Cattet e Bruno Forzani abbiano millimetricamente pianificato ogni cosa, ogni istante, ogni inquadratura, ogni fronzolo, di questo loro nuovo Laissez Bronzer les cadavres, cioè che abbiano compiuto uno studio geometrico-filosofico sull’opera che andavano a edificare. Oppure che il film sia uscito loro diretto come una fucilata e già compiuto, un po’ come Minerva che schizzò fuori dalla testa di Giove già formata e armata di tutto punto. Sia vera la prima o la seconda ipotesi, la sostanza finale è che ci troviamo di fronte a un film straordinario. Straordinario. Per quello che capiamo che è. E soprattutto per quello che non capiamo e non potremo mai capire. Lo stile della coppia belga ci (plurale maiestatico) aveva impressionati e mesmerizzati fin da quando per Amer scrivemmo una recensione che bontà loro Bruno ed Hélène apprezzarono molto. Anno 2009. Poi L’étrange couleur des larmes de ton corps (che in Italia avete visto solo grazie a Midnight Factory) ratificò che questo cinema fosse l’opera di due genialità, magnificamente inafferrabili. Arriviamo così al terzo lungo, arriviamo a Laissez bronzer les cadavres tratto da un romanzo omonimo di Jean Patrick Manchette e Jean-Pierre Bastid che in Italia Le edizioni del capricorno hanno pubblicato con il titolo Che i cadaveri si abbronzino. Manchette, quindi noir, anzi la reinvenzione del noir letterario all’inizio degli anni Settanta. E questo suo romanzo risale, infatti, al 1971.
Siamo in Corsica, nel cuore del luglio assolato. Giorno 16. Una pittrice cinquantenne non bellissima ma molto conturbante (Elina Löwensohn, rumena naturalizzata americana, faccia incredibile, corpo ancora perfetto a 51 anni) riceve nella sua comune in un posto sperduto – case diroccate, mare, vento e colori abbacinanti (la magia potente e la forza primigenia delle cose elementali che ritorna da Amer) – un gruppo eterogeneo di individui. Arrivano dei rapinatori che hanno trafugato un carico di oro massacrando la scorta, capeggiati da Stéphane Ferrara (l’ex pugile che ha fatto Detective di Godard e ha lavorato tanto in Italia). Arrivano la moglie e il figlio dell’uomo che ora sta con la pittrice, insieme a una ragazza. E, infine, arrivano due gendarmi in moto, maschio e femmina. A questo punto, si scatena l’inferno, la guerra di tutti contro tutti, si comincia a sparare e non si smette più, fino alla fine del film. Per l’oro ma non soltanto per quello. Gli uomini sono come formiche brulicanti tra le rovine corse, nei pertugi della pietra, dentro pozzi di buio in balia dei disegni di forze superiori, degli dei, anzi di una dea, forse l’Ananke, la Necessità, la quale non ha volto né nome ma appare come una imponente silhouette oscurata contro la luce accecante del sole. Una dea vendicativa che piove acqua, fuoco e piscio – alla lettera: c’è un pissing – sui mortali. Laissez bronzer les cadavres non può essere spiegato né fatto capire, va soltanto visto. E questo è pacifico. Per il resto, avventurarsi in esegesi che vadano oltre il fenomeno per attingere il noumeno è rischioso. O dici troppo o troppo poco.
Ho visto, insistiti, Buñel ed Arrabal, Jodorowsky e i surrealisti. Teschi infilzati e pezzi di manichini che fuoriescono dalla terra. Ho visto persino una incredibile scopata contro un quarto di manzo appeso che… Poi ho sentito la nenia veneziana cantata, da Chi l’ha vista morire?, traslata su una scena perfetta. Forzani e la Cattet fanno esercizi spericolati di cinema sul tempo, dentro il tempo, fuori dal tempo e contro il tempo – un counter rosso su schermo nero appare scandendo il progredire delle fasi della storia, che dura dal mattino alla sera e avanza, retrocede, si ferma e poi si ripete da diversa angolazione: forse un regesto Melvilliano. Forse… –, anche se questo loro ultimo film è certamente meno iniziatico e più commestibile dei precedenti per il palato di un pubblico, diciamo così, “medio”. Che, magari, per la teoria dei vasi comunicanti può pensare di avere visto qualcosa di simile in Free Fire di Ben Wheatley. Molto lontanamente simile. Gli autori, richiesti di citare qualche fonte, sorprendono tutti e tirano fuori il titolo di Quelli che contano, il film di Andrea Bianchi. Dategli un’occhiata. “Laissez bronzer les cadavres è ciò che Tarantino probabilmente vorrebbe girare ma che non riuscirebbe a fare nemmeno se vivesse sette vite come i gatti”: l’idea mi tornava con insistenza in testa guardando le incredibili “posizioni di tiro” (visto che ci siamo, restiamo a Manchette) che Bruno ed Hélène si sono inventati con quest’opera. Definitiva. Un valore cinematografico non negoziabile.
Recensione: nocturno.it