KHADAK (SubITA)

Titolo originale: Khadak
Nazionalità: Belgio, Germania
Anno: 2006
Genere: Drammatico, Sentimentale, Spirituale
Durata: 104 min.
Regia: Peter Brosens, Jessica Woodworth

Presentato a Venezia 2006 nella sezione Giornate degli Autori, Khadak è un interessante esordio che ha anche il merito di portare sullo schermo l’affascinante e straniante paesaggio lunare delle steppe mongole. Lande desolate e vite semplici, fatte di duro lavoro e di poche prospettive. Uno stile di vita fortemente legato alla dimensione naturale. Vincitore del Premio Luigi De Laurentiis.

Vorrei essere Batzul Khayankhyarvaa (a ciascuno i propri sogni)
Bagi, giovane pastore mongolo che conduce una tranquilla esistenza con i propri genitori, possiede una facoltà che lo rende un predestinato: riesce a “sentire” gli animali anche a grandissima distanza. La terra e il destino lo chiamano: Bagi sarà uno sciamano…

Khadak è il lungometraggio d’esordio dei due documentaristi Peter Brosens e Jessica Woodworth [1]. Khadak è anche il film che ha ricevuto il Premio Luigi De Laurentiis alla Mostra del di Venezia 2006, sezione Giornate degli Autori, e che è stato selezionato per il Festival di Toronto 2006. Col titolo internazionale The Colour of Water, Khadak ha pure un bel sito internet, elegante, funzionale, con suggestive immagini. Ma più di ogni altra cosa, questo lungometraggio è la perfetta dimostrazione della forza seduttiva dei paesaggi e dei volti, di quel cinema che nasce dall’abbagliante bellezza di un panorama o di un viso splendente. Si prenda, ad esempio, la sequenza iniziale: una ragazza dal viso sporco inizia a contare e poi, a un certo punto, comincia a piangere. Un incipit sicuramente intrigante: l’attenzione non può che focalizzarsi sul viso intenso e bellissimo della giovane attrice (Tsetsegee Byamba). Lo stesso discorso vale per la poetica sequenza che vede il protagonista Bagi (Batzul Khayankhyarvaa) immerso nell’acqua: una soluzione visiva accattivante, seppur troppo costruita, che incornicia il volto del giovane attore. Il volto, sicuramente anche paesaggio dell’anima, sembra quasi sovrastare, se non annientare, qualsiasi altro contenuto e significato di questa sequenza. E dell’intero film.

Il paradosso di certo cinema, indubbiamente creato e pensato da cineasti talentuosi, è di essere troppo bello. Non che Khadak sia insignificante dal punto di vista narrativo, ma il plusvalore estetico finisce per fagocitare tutto il resto: ai volti, ai paesaggi e alla costruzione delle inquadrature non corrisponde (ancora) una solida architettura narrativa. Confezionando il tutto con la limpida fotografia di Rimvydas Leipus (Freedom di Šarunas Bartas, Courtyard di Valdas Navasaitis), il gioco è (ben) fatto.
Lo squilibrio di Khadak penalizza in parte il risultato finale, ma non pregiudica comunque un giudizio sostanzialmente positivo. Un interessante esordio che ha anche il merito di portare sullo schermo l’affascinante e straniante paesaggio lunare delle steppe mongole. Lande desolate e vite semplici, fatte di duro lavoro e di poche prospettive. Uno stile di vita fortemente legato alla dimensione naturale. E poi la condizione delle popolazioni nomadi in Mongolia; i drastici cambiamenti imposti dalla classe politica e dalla invadente globalizzazione, che sono così distanti da questa cultura atavica; il richiamo della terra, del destino; la forza dei sentimenti e via discorrendo.

Sopra tutto e tutti, ovviamente, i due giovani interpreti, intensi e meravigliosi: Batzul Khayankhyarvaa (Bagy) e Tsetsegee Byamba (Zolzaya), rigorosamente non professionisti. Batzul sta studiando ingegneria a Ulaanbaatar, Tsetsegee è iscritta a giurisprudenza. Il mondo avrà presto un avvocato e un ingegnere in più. Batzul non parteciperà mai a un reality e Tsetsegee non farà un calendario. Batzul e Tsetsegee saranno sempre Bagi e Zolzaya, giovani e immortali.

Note
1. Peter Brosens: El Camino del Tempo (1992) e la “Trilogia della Mongolia”, ovvero City of the Steppes (1993), State of Dogs (1998) e Poets of Mongolia (1999). Jessica Woodworth: Urga Song (1999) e The Virgin Diaries (2001).

Guarda anche  ROSENCRANTZ & GUILDENSTERN ARE DEAD [SubITA]

Recensione: quinlan.it

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By Anam

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