JUBILEE [SubITA]

Titolo originale: Jubilee
Nazionalità: UK
Anno: 1978
Genere: Drammatico, Grottesco, Satirico, Visionario
Durata: 103 min.
Regia: Derek Jarman

London Burning

Nel 1578 la regina Elisabetta I chiede all’astrologo di corte John Dee di mostrarle il futuro della sua nazione. Con l’aiuto dell’angelo Ariel i due compiono un temporale di quattrocento anni. Ad attenderli il caos e l’anarchia: a Buckingham Palace si è insediato il magnate delle comunicazioni Borgia Ginz, l’abbazia di Westminster è diventata una discoteca, Londra è in mano a bande di teppisti. Come quella di Bod, a capo di una gang di freak e deviati.

God save the Queen
The fascist regime,
They made you a moron
A potential H-bomb.
God save the Queen
She ain’t no human being
There is no future
And England’s dreaming.
Sex Pistols, God Save the Queen, 1977

Jubilee per ogni inglese di buona educazione sta a rappresentare il giubileo per i venticinque anni di regno di Elisabetta II, che si festeggiarono nel 1978, nel pieno di un paese allo sfascio, attraversato dagli spettri del punk, rabbioso grido del sottoproletariato (bianco, per i del mod, e nero, per i figli del dub) contro un’istituzione dello Stato in pieno conflitto con le classi lavoratrici. È primo ministro ancora il laburista James Callaghan, ma di lì a poco, nella primavera del 1979, inizierà il decennio con Margaret Thatcher al governo della nazione. Inizierà lo slittamento a destra dell’Inghilterra e della Gran Bretagna, la progressiva soppressione della classe media, l’impoverimento delle classi meno abbienti, grazie a un liberismo economico sfrenato del quale oltre Manica ancora si stanno pagando i resti. La reazione a quest’epoca di (s)fascio è anche lì, nella musica rapida nevrotica nervosa del punk, in quegli accordi dagli angoli puntuti, nella secchezza, nella velocità di un concetto basilare. Essere contro. Al Giubileo di Elisabetta II – checché abbiano sempre detto gli stessi musicisti – i Sex Pistols di Johnny Rotten dedicheranno God Save the Queen, secondo singolo rilasciato dopo Anarchy in UK: la canzone, che fu censurata in ogni modo in patria, termina con Lydon/Rotten che urla al suo uditorio “No Future!”. Nessun futuro. E viaggia proprio nel tempo, nel futuro, Elisabetta I in Jubilee, accompagnata dallo spirito Ariel – proprio quello de La tempesta di William Shakespeare, commedia che Jarman trasporterà sullo schermo nel 1979 – e dall’esperto di “oscure materie” John Dee: l’intenzione è quella di scoprire cosa succederà al Regno Unito quattrocento anni più tardi…

All’epoca della sua realizzazione Jubilee venne accolto piuttosto male: la critica più ufficiale se ne tenne a debita distanza, e l’ambiente punk si sentì più preso in giro che davvero compreso. Vivienne Westwood non perse occasione per dire la sua, attaccando di petto Jarman e accusandolo di fatto di aver voluto sfruttare l’ambiente punk per mettere in scena un’opera al contrario molto attenta alla forma, e all’estetica. In parole povere, di aver cercato di fare un film sul punk da un punto di vista eticamente anti-punk. Fa sorridere annotare queste divergenze di opinioni all’interno del microcosmo indipendente a quarant’anni di distanza: oggi che gli insubordinati sono stati rimessi davvero al loro posto, e l’ordine (o supposto tale) regna sovrano ben più delle due Elisabette, Jubilee non si presenta “solo” come uno dei titoli più folgoranti della filmografia di Jarman (insieme a The Last of England, Caravaggio, Edoardo II e Wittgenstein), ma anche come uno dei pochi film in grado di raccontare il caos britannico dell’epoca.

Nell’affermarsi come “punk movie” quando questa categoria era ancora ben al di là dall’essere presa vagamente in considerazione, Jubilee si accaparra senza dubbio un primato, ma si tratterebbe di gloria effimera se non fosse per la potenza dirompente di ciò che avviene sullo schermo. Attraverso una sequela pressoché infinita di ellissi, che di fatto suddividono Jubilee in un susseguirsi di eventi quasi del tutto slegati tra loro – e basati sullo schema della reiterazione, come ogni film apocalittico che si rispetti –, Jarman riesce a cogliere, forse in parte in maniera anche involontaria, il germe di un dissenso serpeggiante, e così adolescente da non riuscire ancora a comprendersi. Da un punto di vista strettamente popolare il punk fu un urlo, un collettivo vomito contro tutto e tutti, il ghigno deforme di un ragazzino ubriaco e molesto, che vede nelle rappresentazioni del potere il suo nemico giurato: Jubilee, storia di bande, di guerre intestine e di canzoni sputate via, riesce a essere tutto questo, senza però dimenticare il retroterra culturale di Jarman, che per di più all’epoca delle riprese era già trentacinquenne, ben lontano dalla virulenza giovanile di Adam Ant, Siouxsie Sioux e degli altri artisti che appaiono nel film.

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Ben lontano negli intenti dall’essere un peana o un documento storico di quel che stava accadendo nei locali di Londra e delle altre città (come sarà invece il caso, dall’altro lato dell’oceano, di The Blank Generation di Ivan Kral e The Decline of Western Civilization di Penelope Spheeris), Jubilee è punk nell’etica: da questo punto di vista mettere in relazione i giovani del 1977 con i dettami dell’epoca elisabettiana appare come una scelta ironica ma colma di lungimiranza.

Ma forse, in fin dei conti, Jubilee è soprattutto un divertente boato contro la grettezza della normalità, qualunque cosa questo termine stia a indicare. Un boato non privo di lucidità politica: nell’abbandonare il futuro per tornare nel ben più tranquillizzante XVI secolo, Dee ed Elisabetta I convengono che “L’ultimo nastro che ci legava a ciò che è conosciuto si spezza. Andiamo alla deriva in un mare di tempeste”. Tempeste shakespeariana, indubbiamente, ma anche tempeste liberiste, venti di reazione, chiusure alle frontiere, guerre, licenziamenti di massa. Tempeste che non potranno, negli anni Ottanta, essere combattute a colpi di accordi rapidi e spigolosi.

Recensione: quinlan.it

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By Anam

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