JOURNEY INTO BLISS (SubITA)

Titolo originale: Die Reise ins Glück
Titolo internazionale: Journey into Bliss
Paese di produzione: Germania
Anno: 2004
Durata: 127 min
Genere: Grottesco, Fantastico, Commedia, Drammatico, Visionario
Regia: Wenzel Storch

Sinossi:
Un inventore eccentrico costruisce un gigantesco parco d’attrazioni galleggiante, promettendo un viaggio verso la felicità a chiunque salga a bordo. Ma quella che dovrebbe essere una traversata gioiosa si trasforma presto in un incubo colorato e delirante, popolato da santi deformi, bambole viventi, creature da fiaba sadiche e preti invasati. Die Reise ins Glück (“Il viaggio verso la felicità”) è una fiaba psichedelica in piena regola: un sogno infantile avvelenato, un universo di cartapesta e lustrini che dissimula un abisso morale e visivo.

Recensione:
Ci sono film che si limitano a raccontare una storia, e poi ci sono opere come Die Reise ins Glück di Wenzel Storch, che sfidano apertamente il concetto stesso di narrazione, trasformando il cinema in una liturgia anarchica, una giostra infernale dove il kitsch si mescola al misticismo, il sacro all’osceno, il bambino al demonio. È un’esperienza totale, esasperante e ipnotica, un delirio di immagini che sembra scaturito da una mente febbrile, intrappolata in un sogno cattolico allucinato e popolato di pupazzi in decomposizione.

Storch, cineasta tedesco ai margini del sistema, è una figura che pare uscita da un romanzo di Ballard riscritto da Buñuel. Il suo cinema, con questo film come manifesto, è una dichiarazione di guerra al buon gusto e alla linearità, un inno al caos controllato, dove ogni inquadratura diventa un altare di eccessi. Die Reise ins Glück è un viaggio nella mente di un visionario che non teme il ridicolo, anzi lo abbraccia come forma suprema di verità. Tutto, nel suo mondo, è falso: i paesaggi sembrano fatti di cartone, gli animali sono marionette, i personaggi declamano battute come in un teatro di provincia sotto acido. Eppure, in quella finzione sfacciata, pulsa una sincerità che pochi film “seri” riescono a toccare.

L’universo di Storch è popolato da santi erotomani, da madonne piangenti di plastica, da uomini travestiti da animali, da frati che sembrano usciti da un cartoon impazzito. È un mondo governato da un Dio pazzo, che gioca con i suoi figli come un bambino con soldatini rotti. L’intero film è una processione grottesca, una parodia di ogni religione, di ogni utopia, di ogni idea di purezza. Eppure, come in tutte le grandi opere surreali, dietro la risata si nasconde la disperazione: quella di una società che ha perso la fede ma continua a cercarla nei luoghi più assurdi, nei feticci, nelle icone, nei giocattoli rotti dell’immaginario collettivo.

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Esteticamente, Die Reise ins Glück è un trip visivo senza precedenti. Ogni scena sembra dipinta con l’eccesso di un artista barocco impazzito. I colori esplodono — rosa confetto, verde veleno, oro, sangue — come se la pellicola fosse impregnata di zucchero e veleno insieme. È un film costruito a mano, come un grande presepe delirante, dove ogni oggetto ha una consistenza fisica, materica, che ricorda il cinema artigianale di Jodorowsky o Gilliam. Ma se quei registi cercano una trascendenza, Storch la distrugge con un ghigno, ridendo in faccia all’idea stessa di salvezza.

Non sorprende che Die Reise ins Glück sia stato accolto con sconcerto e ammirazione: è troppo bizzarro per il grande pubblico, troppo estremo anche per il circuito indipendente. Ma per chi è disposto ad abbandonare le logiche narrative, il film è un banchetto di invenzioni, una sinfonia di follia visiva e sonora. È un cinema che non vuole spiegare ma evocare, che non racconta ma travolge.

Sotto il suo aspetto di favola oscena, Storch nasconde una critica feroce al consumismo, alla religione-spettacolo, alla mercificazione della felicità. Il “viaggio verso la gioia” promesso dal titolo è in realtà un pellegrinaggio verso la disillusione: ogni sogno offerto è già corrotto, ogni promessa già marcia. È come se il regista urlasse che la felicità non è mai un traguardo, ma un inganno, una pubblicità luminosa che ci abbaglia per nascondere il vuoto.

Ciò che colpisce, infine, è la libertà. Die Reise ins Glück è un atto di libertà assoluta, un film che ignora ogni regola estetica e morale per affermare la potenza del delirio. È un’opera che respinge ogni compromesso, che celebra l’immaginazione come unico atto rivoluzionario rimasto. Wenzel Storch costruisce un inferno colorato e, in un certo senso, ci invita a viverci dentro — con un sorriso, con orrore, con estasi.

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È difficile spiegare cosa si provi dopo aver visto Die Reise ins Glück: non si sa se ridere o pregare, se sentirsi redenti o contaminati. Ma una cosa è certa: pochi film riescono a trasformare l’eccesso in poesia, la blasfemia in arte, la spazzatura in un manifesto spirituale.
Wenzel Storch ci mostra che la vera felicità, forse, non è nel paradiso, ma nel caos.

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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