EL NINO DE LA LUNA (SubITA)

Titolo originale: El niño de la luna
Nazionalità: Spagna
Anno: 1989
Genere: Fantascienza, Fantastico, Spirituale
Durata: 118 min.
Regia: Agustí Villaronga

David è un bambino di dodici anni che ha dei poteri extrasensoriali. Tenuto sotto stretta sorveglianza da una società scientifica che ne studia i poteri, un giorno viene a conoscenza di una profezia africana che lo folgora e cambia la percezione che ha di se stesso. Da quel momento, con l’aiuto di due donne, farà di tutto per inseguire il suo destino. Che prevede la realizzazione della singolare profezia.

Con El niño de la luna, Agustí Villaronga costruisce una delle opere più ipnotiche, sfuggenti e spiritualmente disturbanti del cinema europeo tardo-anni ’80. È un film che appartiene al territorio della visione, non della trama. Chi lo guarda non ne segue semplicemente gli eventi: ne viene avvolto, spogliato, trascinato in una dimensione dove il simbolo è più reale del corpo e la luce diventa una lingua che non tutti possono comprendere.

L’opera nasce in un periodo in cui il cinema iberico cercava una propria mistica visiva, e Villaronga – già autore di Tras el cristal – trasforma quella ricerca in un atto di fede nell’immaginazione. El niño de la luna parla di bambini, ma non per loro. È un viaggio nell’infanzia come stato metafisico, un punto d’incontro tra innocenza e conoscenza proibita. Il regista dipinge un mondo dove la purezza non salva, ma consuma; dove la speranza è un’arma che acceca.

La prima parte del film si muove in un orfanotrofio gelido, geometrico, quasi asettico: il luogo perfetto per trasformare i sogni in esperimenti. Villaronga utilizza l’inquadratura come se fosse una ferita che si apre lentamente: la macchina da presa non osserva, si insinua. I volti dei bambini, le mani, gli oggetti, vengono mostrati con un’attenzione sacrale, come frammenti di un rito. Ogni dettaglio ha un significato nascosto, ogni silenzio è una preghiera che non osa dirsi.

Quando David fugge e raggiunge il deserto africano, la narrazione muta in una parabola mistica: sabbia e luce sostituiscono il bianco lattiginoso dell’istituto, e la pellicola si trasforma in un sogno febbrile. Il deserto è il luogo dell’origine e del ritorno, lo spazio dove l’identità si dissolve per lasciare posto alla leggenda. Qui il bambino diventa messia, ma il suo messaggio è indecifrabile. Villaronga non concede catarsi né conforto: tutto è bellezza e condanna insieme, visione e punizione.

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L’elemento esoterico non è semplice cornice: è sostanza stessa del film. I simboli lunari, le suggestioni alchemiche, la dualità tra maschile e femminile, tra corpo e spirito, attraversano ogni fotogramma. El niño de la luna sembra nascere da una notte di febbre mistica in cui Tarkovskij e Cocteau si incontrano in sogno e decidono di riscrivere il mito dell’infanzia. Ma Villaronga, diversamente dai suoi maestri, aggiunge una sensualità torbida, una compassione violenta che rende la visione profondamente mediterranea, carnale, sporca di umanità.

La colonna sonora di Dead Can Dance amplifica questa dimensione sospesa: canti arcaici, echi tribali, strumenti che sembrano provenire da un altro secolo. È come se la musica stessa guidasse lo spettatore verso un altrove non razionale. Tutto il film vibra come una messa nera recitata da angeli decaduti.

Guardare El niño de la luna oggi significa affrontare un cinema che non si piega alle categorie, un cinema che pretende abbandono. È un film che non spiega, ma mostra l’oscurità con la grazia di una profezia. Villaronga ci dice che crescere non è mai innocente, che l’atto di conoscere è una forma di distruzione. E lo fa con immagini di una bellezza che ferisce, che non si dimentica.

C’è qualcosa di profondo, quasi archetipico, nel modo in cui la Luna attraversa la storia: non come semplice simbolo, ma come madre assente, come richiamo al divino, come eco del ventre materno. David, il bambino della Luna, è il Cristo di un mondo che ha smarrito la fede e cerca un dio tra le rovine della propria coscienza.

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El niño de la luna è un film che va sentito più che capito. È poesia in stato febbrile, un incubo luminoso dove il confine tra il sacro e il profano si dissolve. Villaronga ci ricorda che la purezza non esiste, che anche la luce più bianca contiene un’ombra, e che dietro ogni atto d’amore si cela un sacrificio.

 

By Anam

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