Titolo originale: Yi boh lai beng duk
Nazionalità: Hong Kong
Anno: 1996
Genere: Commedia, Horror, Thriller
Durata: 98 min.
Regia: Herman Yau
Un criminale contrae il virus ebola durante un viaggio in Africa. Ritornato a Hong Kong, continua impunemente a commettere i suoi crimini, ma allo stesso tempo a diffondere il contagio.
Il pericoloso e disperato criminale di Hong Kong Kai (Anthony Wong Chau-sang, già noto per Hard Boiled e soprattutto per il repellente biopic The Eight Immortals Restaurant: The Untold Story, sul quale torneremo più in là) visita il Continente nero, entrando in contatto con una tribù zulu. Stuprata e uccisa una fanciulla del luogo, contrae l’ebola e, tornato ignaro del contagio nella metropoli asiatica, comincia a diffonderla a destra e a manca e a suon di violenze sessuali, omicidi e piatti che cucina nel ristorante in cui è stato assunto come cuoco.
La Hong Kong del 1996 non è mai stata così pericolosa!
Con uno script che cavalcò l’onda di allarmismi per lo scoppio di un’epidemia di ebola in Ruanda e che fa ancora scandalo per quantità di pornografia, violenza sanguinaria e situazioni weirdo, la sceneggiatrice Ting chau, conosciuta per una serie di copioni meno aggressivi come il romantico No More Love No More Death del 1993 e forte del sodalizio artistico che si instaurò fra lei e il regista Herman Yau, crea un cult.
Un cult che si sorregge completamente sulle spalle del protagonista, una personalità introversa, perversa, esageratamente misogina, incline a un temperamento che definire aggressivo è sminuirlo, e che usa anche una certa comicità nera per essere il fautore di una masnada di eccentriche sequenze di tradimenti, uccisioni, arresti, fughe, sesso, violenza, nudità gratuite, mutilazioni, frittelle di carne umana, infezioni con delirium tremens e, dulcis in fundo, masturbazioni con l’uso di fori applicati nella carne di maiale che poi lui servirà ai suoi affamati clienti.
È chiaro che un personaggio del genere portò lo stesso Anthony Wong Chau-Sang ad affermare di odiarlo e di non volerlo mai più interpretare, dovesse cascare la Cina.
Supportato, quindi, da dialoghi arroganti e scene bordeline, ma soprattutto da convincenti e pazzeschi effetti speciali /trucchi, Ebola Syndrome è un pamphlet di immagini forti e senza pietà per lo spettatore, che definiscono un gore trucido che rientra nella tradizione relativamente recente del cinema asiatico horror di quei tempi.
L’allora trentacinquenne regista Herman Yau, che era già un nome abbastanza importante nell’industria cinematografica di Hong Kong (e in particolare all’interno dello Studio Jing’s Production), offre una regia commerciale, ma con qualche lampo di originalità. Yau aveva esordito con Leng mooi jing juen (1987), ma si era imposto all’attenzione del pubblico con il truculento The Eight Immortals Restaurant: The Untold Story con lo stesso Wong Chau-Sang come protagonista e che ha non poche somiglianze con Ebola Syndrome. Il primo film traspone infatti la vera storia criminale di un cuoco-serial killer che cucinava le sue vittime, principalmente bambini (perché avevano la carne più tenera) ai clienti del suo ristorante.
Ma volendo mettere le mani avanti sulla sua creazione e volendola distaccare dalla precedente, Yau affermò in un’intervista che Ebola Syndrome, al di là del suo aspetto orrorifico, era principalmente un film sullo sfruttamento di classe e che il virus altro non era la più terribile proliferazione di una violenza causata dalle pressioni del mondo civilizzato.
Secondo Yau, il film dovrebbe insegnare agli spettatori a non usare la violenza come mezzo per arrivare al progresso sociale e umano, in quanto ostacolo proprio verso questo tipo di evoluzione. Secondo quest’ottica, dunque, l’ebola rappresenterebbe il contagioso e distruttivo odio che ci trasmettiamo l’uno l’altro quando siamo vittime o testimoni di disuguaglianze e oppressioni in un clima di decadimento sociale, morale e culturale. Divari troppo grandi nel mondo produrrebbero ingiuste distribuzioni di ricchezza, indebolirebbero la sicurezza sociale, l’istruzione e la giustizia e quindi diventerebbero terreno fertile per questo tipo di male.
Recensione: storiadeifilm.it
I’m A Fucking Dreamer man !