CREEPY [SubITA]

Titolo originale: Kurîpî: Itsuwari no rinjin
Nazionalità: Giappone
Anno: 2016
Genere: Thriller
Durata: 130 min.
Regia: Kiyoshi Kurosawa

La voragine
Dopo aver rischiato di essere ucciso da uno psicopatico, l’ispettore Takakura abbandona la polizia e si dedica all’insegnamento della psicologia criminale. Quando l’ex-collega Nogami chiede il suo per riaprire un vecchio caso, non esita più di tanto: sei anni prima, una famiglia è scomparsa in circostanze misteriose e fino a oggi nessun corpo è stato trovato. Mentre Takakura si inabissa nei meandri nell’indagine, la moglie si presenta ai nuovi vicini della porta accanto: una famiglia apparentemente normale…

Kurīpī. Creepy. Raccapricciante, orripilante, che dà i brividi, che fa accapponare la pelle. Che striscia, strisciante. Dal verbo creep, anche adulare, essere servile.

Il nuovo lungometraggio di Kiyoshi Kurosawa, già alla Berlinale e ora all’Horror Day del Far East 2016, non è esattamente un film dell’orrore. È un creepy movie, una pellicola dai contorni neri e inquietanti che si insinua sottopelle. Non si sobbalza sulla poltrona, non ci si copre gli occhi, eppure ci si tiene distanti, si osserva quasi con sospetto. Perché la dimensione orrorifica di Creepy si espande rapidamente oltre i confini dello schermo. Striscia lentamente verso di noi. Ci avvolge. Ci catapulta in un senza fondo, nero come la pece.

Creepy è il volto ambiguo, pacioso eppure terribile di Teruyuki Kagawa. È la supponenza del protagonista, l’ex-ispettore Takakura (Hidetoshi Nishijima), così sicuro della propria professionalità e moralità da non vedere oltre il proprio naso, incapace di scorgere l’abisso che lo sta inghiottendo. Creepy è la messa in scena di Kurosawa, compassata, silenziosa, quasi strisciante. La macchina da presa si insinua lentamente nei giardini, nelle case, nelle insospettabili stanze segrete, nell’abisso oscuro. A Kurosawa bastano il tra i rami, un’inquadratura fissa, poche note, un volto che si rabbuia impercettibilmente. Una declinazione misuratissima del J-Horror, che dal piano del sovrannaturale, dell’irrazionale, scivola verso una razionalità mostruosa, deformante. Creepy è la fotografia dell’orrore che nella nostra quotidianità non riusciamo (forse non vogliamo) scorgere: distanza, incomunicabilità, indifferenza, alienazione.

Kurosawa si disinteressa delle increspature narrative, trascina i propri personaggi verso l’orrore, li rende schiavi di una fine annunciata e atroce. E si disinteressa anche del mondo circostante, di tutto quello che normalmente ruoterebbe attorno alle case di Takakura e di Nishino. Creepy è un microcosmo a parte, un luogo altro. Una Twilight Zone alimentata dall’indifferenza. Kurosawa non ha bisogno di oliare snodi narrativi, così si concede alcuni passaggi spregiudicati, evidentemente metaforici: è il cortocircuito tra quotidianità e orrore a trascinare il vecchio ispettore Tanimoto nell’antro del diavolo. È la superficialità di chi non (ri)conosce più i suoi vicini.

Creepy riesce a dare corpo al Male, a quella malvagità che cresce e prolifera in un cono d’ombra, che succhia forza ed energia dalla stanca routine matrimoniale di Yasuko, dalle conflittualità adolescenziali di Mio. Kurosawa rielabora, stilizzandoli, alcuni elementi formali del J-Horror per adattarli a una realtà dai contorni luciferini: emblematica l’immagine della grande busta di plastica, del suo effetto sui corpi, della composizione raccapricciante dei capelli e della pelle bianca, morta.

Titolo di punta dell’Horror Day del Far East 2016 e tra le (poche) gemme della kermesse berlinese, Creepy ci trascina in fondo a un buco nero, a una voragine che nella vita reale potrebbe aprirsi a un passo da noi, sotto i nostri occhi e il nostro naso. Inquietante, ipnotico, persino divertente, narrativamente spregiudicato, il film di Kurosawa scandaglia la moltitudine di solitudini quotidiane, la distanza incolmabile tra vicini di casa, di scrivania. È la mutazione della società, l’annullamento dei rapporti interpersonali, a generare il mostro, a generare quel vuoto, quel buco nero. Siamo dentro la voragine, come l’entomologo Niki Jumpei de La donna di sabbia – ma senza passione, amore, prospettive.

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Recensione: quinlan.it

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By Anam

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