COLD FISH [SubITA]

Titolo originale: Tsumetai nettaigyo
Nazionalità: Giappone
Anno: 2010
Genere: Drammatico, Horror, Visionario
Durata: 144 min.
Regia: Sion Sono

Shamoto gestisce un piccolo negozio di pesci tropicali. È preoccupato perché la sua seconda moglie, Taeko, non va d’accordo con sua figlia, Mitsuko. Un giorno Mitsuko viene fermata per taccheggio in una drogheria. Nel negozio incontrano un uomo amichevole di nome Murata, che l’aiuta a sistemare la faccenda col gestore. Anche Murata gestisce un negozio di pesci tropicali e Shamoto stabilisce un legame di con lui; Mitsuko comincia addirittura a lavorare per Murata e si trasferisce a sua. Quello che Shamoto non sa, tuttavia, è che dietro i suoi modi amichevoli Murata nasconde molti oscuri segreti. Con le sue menzogne ben congegnate, vende ai clienti pesci di poco valore a prezzi gonfiati. Chi si accorge della frode o non si presta alle sue lucrose macchinazioni viene ucciso e Murata e la moglie si sbarazzano dei cadaveri con sistemi raccapriccianti.

Una progressione geometrica, senza speranza e senza redenzione. Violenza, sopraffazione, diritto del più forte, sesso macchiato di sangue, ogni cosa è macchiata di sangue. Ecco Tsumetai nettaigyo, ultima opera del regista di Jisatsu Sakuru Sion Sono. Sono riesce a gestire, da prodigioso direttore d’orchestra, una sinfonia in più movimenti scandita dall’inesorabile passare del tempo, sorta di cronometria della violenza. Cold Fish inizia, infatti, con un movimento allegro e gentile, prosegue con un adagio ove le tensioni affiorano lentamente ed esplode in un finale andante mosso, senza che lo slittamento dalla commedia prima ammiccante poi grottesca all’orrore puro (oltre l’Horror, Sono è una sorta di Haneke più esplicito e spregiudicato) sia percepita come una forzatura narrativa o una gratuita degenerazione. La macchina da presa, meno mobile e quasi sgraziata nella prima parte (inquadrature sghembe, composizioni asimmetriche), si libera progressivamente dagli obblighi incorporati di rispetto di una “certa distanza” rispetto agli eventi mostrati per divenire, nell’ultima parte, il prolungamento meccanico degli occhi sgranati e delle mani mortifere dei personaggi, presi al sommo del loro omicida. In quest’ macabra e oggettivamente disturbante, nessuno si salva: né l’istituzione familiare (nessun affetto, solo effetti collaterali), né l’affermato capitalismo nipponico (il pesce, freddo e grande che fagocita il pesciolino). Un’opera la cui “aggressività” (il film, è un’interpellazione continua all’occhio, alla e al ventre dello spettatore) è pari alla riuscita formale. Quando l’eccesso è la chiave d’accesso al cuore e alla verità delle cose.

Recensione: spietati.it

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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