BORO IN THE BOX [SubITA]

Titolo originale: Boro in the Box
Nazionalità: Francia
Anno: 2011
Genere: Corto, Visionario
Durata: 40 min.
Regia: Bertrand Mandico

Boro in the Box è il ritratto fittizio, in forma di abecedario fantastico, del regista Walerian Borowczyk (soprannominato Boro).

Grande atmosfera in questo titolo dell’estroso Bertrand Mandico (Living Still Life, 2012) impegnato a fornirci una biografia allucinata del celebre regista Walerian Borowczyk, del quale, e spero di non accusato di lesa maestà, non ho un ricordo particolarmente positivo, almeno per quanto riuscii a vedere (I racconti immorali di Borowczyk [1974] e La bestia [1975]), impressioni confermate da quanto scrissi al tempo dove al di là di un mio approccio ingenuo alla materia cinema mi pare emerga chiaramente il fatto che certe provocazioni e certe dinamitazioni col passare degli anni e con i cambiamenti sociali e artistici hanno ridotto di molto la loro portata eversiva. Ad ogni modo non sarà il mancato amore verso l’autore di origini polacche a deprezzarmi il lavoro di Mandico, anzi come accennato nella prima riga vanno fatti i complimenti al francese per il quadro che ha saputo mettere in piedi, un vero e proprio crogiuolo di suggestioni filmiche in cui ci si riesce a vedere quello che più aggrada, io ad esempio ci ho visto in lontananza la mano di Maddin e una cifra weird à la Švankmajer (questo Boro inscatolato non assomiglia al tenero Little Otik [2000]?), il tutto senza però scivolare in una sterile derivazione perché Boro in the Box (2011) si carica di una originalità che prescinde dalle possibili ispirazioni, e di ciò a Mandico è doveroso rendere onore.

Costituito da un abbecedario che quasi ironicamente istituisce uno schizzato compendio della vita di Borowczyk, il film tenta, credo riuscendoci, di rappresentare, ovviamente in modo non letterale, l’origine delle ossessioni erotiche di Boro. C’è della sporcizia (la madre che copula con un cavallo, antipasto de La bestia), della velata perversione (la giovane mamma “gioca” a morire, il padre una bestia tutt’uno con la natura: il concepimento è allora uno stupro), ma anche della solitudine esacerbata da quel recinto ad personam che separa il protagonista dall’alterità. Non credo sia un caso che l’unico punto di sfogo rintracciabile nella gabbia/scatola sia un foro circolare perfetto per accogliere il mirino della cinepresa, tanto che la compenetrazione tra i due corpi (anche la mdp è giustamente per Mandico, la vediamo organica, pelosa… mostruosa?) dà vita ad unico essere: che è il Regista, che è Borowczyk. Di tutto il resto che risulta incomprensibile non importa poi molto, quando è un cinema così singolare a richiedere la nostra attenzione è da sconsiderati voltargli le spalle.

Recensione: pensieriframmentati.blogspot.com

 

 

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By Anam

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