BEFORE WE VANISH (SubITA)

Titolo originale: Sanpo suru shinryakusha
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2017
Durata: 129 min.
Genere: Drammatico, Fantascienza
Regia: Kiyoshi Kurosawa

In Before We Vanish Kiyoshi Kurosawa torna a utilizzare i codici del genere per cercare di raccontare l’umanità, le sue pulsioni, le domande senza risposta che la agitano. In questo caso lo schema è quello dell’invasione aliena, per uno sci-fi contemplativo ma non privo di deflagrazioni improvvise. In Un certain regard a Cannes 2017.

L’invasione degli ultra-concetti
Mentre Narumi e suo marito Shinji stanno attraversando un brutto periodo, Shinji scompare improvvisamente per poi ricomparire qualche giorno più tardi, completamente trasformato. Sembra essere diventato un diverso, tenero e ricco di attenzioni. Contemporaneamente una famiglia viene brutalmente assassinata e strani fenomeni si ravvisano in città. Il giornalista Sakurai cerca di far su questi misteriosi accadimenti. [sinossi]

Before We Vanish, prima di svanire. C’è sempre il retrogusto ectoplasmatico a dominare la situazione nel cinema di Kiyoshi Kurosawa; un cinema che si fa anno dopo anno, film dopo film, sempre più rarefatto, asciutto, disadorno, anche quando affronta codici e modelli di riferimento che nella prassi pretenderebbero un approccio diverso. Lo aveva dimostrato nel corso del 2016, presentando prima l’angoscioso e ipnotico Creepy e quindi il gotico e dolente Daguerrotype, quest’ultimo prodotto in Francia con cast interamente europeo. Before We Vanish segna allo stesso tempo il ritorno di Kurosawa in e sulla Croisette, da dove mancava da due anni, quando il pubblico di Cannes si imbatté in Journey to the Shore. Come in quell’occasione anche nel 2017 a Kurosawa non viene concesso di concorrere per la Palma d’Oro (il ha partecipato al concorso principale solo nel 2003 con Bright Future), e trova ospitalità in Un certain regard, sezione della quale è diventato nel corso del tempo un habitué.
Per quanto sotto certi aspetti Before We Vanish possa apparire come l’ennesima incursione del regista in timbriche e tematiche a lui care – ma di quale autore si potrebbe dire qualcosa di diverso? – il film presenta una lunga serie di cambi di tono, di ritmo e di senso di ciò che sta accadendo in scena.

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L’incipit di per sé è un folgorante mondo a parte. Una liceale torna a casa portando con sé un pesce rosso che nuota in una busta di plastica. Entrando saluta tutti. La porta si chiude alle sue spalle e la camera compie un leggero assestamento verso l’alto, come fosse in attesa. Una cerca di lanciarsi fuori dalla magione, ma qualcosa la solleva e la riporta all’interno. Finalmente la camera ha diritto di entrare a sua volta, e di mostrare: l’ diventa visibile, e lascia di fronte agli occhi degli spettatori una casa invasa di sangue e una sola sopravvissuta, la liceale… Da questa partenza potrebbe prendere il via un j-horror in piena regola, se non si stesse pur sempre parlando di Kiyoshi Kurosawa: ecco dunque che la furia omicida, con tanto di ragazzina con lo sguardo da pazza che cammina senza paura sulla linea di mezzeria provocando un incidente tra un’automobile e un tir, lascia presto spazio a qualcos’altro. Si rientra in un’altra casa, ma senza sangue ovunque, senza morti, senza liceali assassine. Si entra nella casa di una coppia in crisi da tempo: lui però è scomparso per qualche giorno, e da quando è tornato si comporta in maniera strana, è gentile, non alza mai il tono della voce, sembra sempre attento allo stato d’animo della consorte. Ha qualcosa a che fare con la strage questo cambiamento? E perché?
Before We Vanish è un film stratificato, che mescola i generi – la dominante è sci-fi, con tanto di invasione aliena in piena regola e umani posseduti da germi di un’altra galassia, ma fanno capolino il dramma, l’horror, persino il thriller quando uomini del governo si muovono per portare avanti una propria personale indagine, con metodi non sempre ortodossi – e lo fa non per ghiribizzo cinefilo, ma per necessità sentimentale.

Così come Shinji è cambiato, e sta cercando di volta in volta di mutare per raggiungere l’essenza del “vero Shinji” e compiere in maniera definitiva la verso una forma diversa (più evoluta? Così parrebbe), anche Before We Vanish muta pelle con grande facilità. A tenere insieme il film è la maestria registica di Kurosawa, la sua capacità di lavorare sui ritmi rallentati, la pacificata sensazione di uno sguardo sempre umanista, fedele alle potenzialità dell’umano anche quando questo sembra meritare di soccombere; nei suoi vari registri emotivi il film non dimentica mai di porre al centro della questione l’uomo, di analizzare le reazioni al mondo che lo circonda, di studiare i motivi di gesti. Il significato dei gesti. Gli alieni che hanno intenzione di conquistare il mondo per farlo scelgono una maniera bizzarra: a ogni diverso essere umano “rubano” un concetto, che può essere famiglia, proprietà, lavoro. Non rubano la parola, ma il concetto nella sua forma più estesa che prende consistenza nella di chi la sta elaborando. In questo modo liberano gli esseri umani da vincoli sociali e abitudini rituali che sono state assunte come normalità, ma che in realtà gestiscono e uniformano la vita degli esseri umani. Ma allo stesso tempo li depredano di una delle peculiarità principali dell’umanità, quella di stratificare concetti, di allargarli, di rileggerli all’interno di situazioni tra loro magari anche in netto contrasto.
Ecco dunque che Before We Vanish inizia a muoversi in territori filosofici, ben distanti dal genere che pure continua a essere la radice su cui prende corpo l’intera struttura. Il tema dell’invasione aliena diventa l’escamotage per interrogarsi sul senso dell’appartenere a una specie, e del conformarsi a essa. Di nuovo dunque torna l’ectoplasma, il fantasma di tutto ciò che è nello spazio tra le cose e le condiziona, pur essendo agli occhi. Altra folgorante d’amore, com’era stato nel caso di Daguerrotype, Before We Vanish è meno compatto, ma non meno personale e coraggioso. E potente, soprattutto nella deflagrazione verso quel caos che in Kurosawa non è mai crollo, ma sempre ripartenza. Possibilità dell’umano oltre ogni cosa. Anche il senso.

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