BACKWATER [SubITA]

Titolo originale: Tomogui
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2013
Durata: 102 min.
Genere: Drammatico
Regia: Shinji Aoyama

Nel 1988 il diciassettenne Toma vive con il padre, impegnato in alcuni loschi affari, e la di lui amante Kotoko in una fluviale. Talvolta Toma va a trovare la madre Jinko, che invece gestisce un negozio di pesce sulle rive opposte del fiume. Assistendo quotidianamente alle violenze sessuali del sadico su Kotoko, Toma ha paura di diventare come lui e i suoi timori si rivelano fondati quando, durante un incontro d’amore con la fidanzata Chigusa, diventa stranamente violento. Poiché Kotoko, in attesa di un figlio, scappa di casa mentre la città è allagata da un tifone che si sta avvicinando, il padre di Toma su tutte le furie si mette sulle sue tracce finendo però con l’incontrare Chigusa nei pressi di un santuario.

Una delle tappe più ispirate del regista giapponese con una dimensione tragica che, come Sad Vacation, ha in sé qualcosa di nostalgico, contaminata da forti segni letterari e teatrali. Un road-movie interiore che attraversa moti passionali e Storia del Giappone in un paesagggio dove nulla sembra cambiare ma tagliato nell’inquadratura che ha la valenza simbolica di una vagina. Nascita, morte, rinascita.

Una dimensione tragica che ha qualcosa di nostalgico. Sulle corde di Sad Vacation da cui è accomunato da uno dei motivi ricorrenti del suo cinema – il legame tra i protagonisti e lo spazio – dalla separazioni laceranti, dalle tracce di un romanzesco letterario che aveva caratterizzato l’avventura di quello che forse è il suo capolavoro, Eureka, Premio della Giuria a Cannes nel 2000.

Le forme del racconto, come se potesse anche essere scritto (Aoyama infatti è stato anche autore di romanzi e di saggi di critica cinematografica) attraversa anche Backwater. Innanzitutto alla base c’è il romanzo da cui è tratto, quello di Shinya Tanaka. Poi c’è la voce fuori-campo del diciassettenne Toma che anticipa soggettivamente la sua storia personale, quindi forse come rielaborata dal suo punto di vista, che poi nel corso del film cambia e danza tra i diversi personaggi.

La storia ambientata in un abbastanza recente, il 1988, s’incrocia anche con la Storia del Giappone e le cicatrici della Seconda guerra mondiale. Poi c’è uno spazio che appare immutabile mentre muta davanti gli occhi. Dove i conflitti e i gesti estremi si svolgono quasi come se fosse su un palcoscenico teatrale, con l’illuminazione della fotografia di Takahiro Imai che fa avvertire continuamente la presenza del set, quindi della scena, mentre l’azione si sta svolgendo.

Toma vive in una in riva al fiume con la sua compagna con il e la sua compagna Kotoko. A volte va a trovare la madre Jinko, proprietaria di un negozio di pesce. Il ragazzo disprezza il padre sia per i suoi loschi affari sia per il modo in cui tratta Kotoko. Poi, quando inizia a frequentare una ragazza, Chigusa, si accorge che in alcuni comportamenti non è così diverso da lui.

Backwater è una delle tappe più ispirate del cineasta giapponese. La fuga dalla predestinazione e la lotta per cambiare il proprio destino, il legame tra sesso e violenza, gli intermezzi ironici (i bambini che prendono in giro il protagonista e accompagnano dentro la scena la ragazza che frequenta sono come le aperture di un ‘coro’) vengono assemblati in un film che ha molte identità e ha il potere magico di non smarrirne nessuna. Il può incrociarsi quindi anche con la leggenda (la mano persa in guerra dalla madre) e il fiume che attraversa il luogo ha anche una forte valenza simbolica. Il modo in cui taglia l’inquadratura è come quello di una vagina. Nascita, morte, rinascita. E il finale è pienamente coerente nel segno della tradizione e della continuità.

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