AUTUMN [SubITA]

Titolo originale: Sonbahar
Paese di produzione: Turchia, Germania
Anno: 2008
Durata: 99 min.
Genere: Drammatico
Regia: Özcan Alper

Yusuf è un giovane studente turco che si è battuto per la vittoria della democrazia nel suo paese ed ha subito una dura condanna a dieci anni di detenzione. Malato e distrutto dal carcere torna al suo paese tra le montagne sopra il Mar Nero, dove ci sono la madre e i ricordi e dove vivrà gli ultimi momenti di serenità e amore.

Nel suo lungometraggio di debutto realizzato nel 2008, l’allora trentatreenne Özcan Alper si concentra su una storia personale, privata, per raccontare in sottofondo di una situazione politica, consapevole della potente ricaduta della politica sul personale e di come attraverso quest’ultimo sia possibile penetrare in modo efficace nel cuore e nella mente della gente.
Dopo una scena di repertorio risalente al 22 dicembre del 2000, in cui si sente un ufficiale invitare un gruppo di carcerati rivoltosi a desistere dalla loro lotta per trasferiti nelle nuove carceri di Tipo F (F Tipi Yüksek Güvenlikli Kapalı Ceza İnfaz Kurumu, ossia carceri di massima sicurezza, spacciate al popolo turco come esempi di un avvicinamento allo standard europeo ma in realtà luoghi dove la detenzione, soprattutto per i condannati per motivi politici, è fatta di isolamento e condizioni di vita alquanto precarie), Alper ci introduce al poco più che trentenne Yusuf, che viene rilasciato a causa di problemi di salute – i suoi polmoni sono minati da un male che presumibilmente non gli lascerà molto da vivere – dal carcere dove è stato rinchiuso per dieci anni.
Yusuf è un prigioniero politico, uno di quelli che, per evitare il trasferimento nelle nuove strutture di tipo F hanno iniziato uno sciopero della fame ad oltranza in carcere tra ottobre e novembre del 2000. Ed è molto probabilmente lo sciopero della fame, e la conseguente alimentazione forzata ad opera delle autorità, ad avere compromesso la sua salute.
Tornato in libertà, a clima politico cambiato, con i compagni di lotta del tempo che hanno scelto di conformarsi, a Yusuf non resta che fare ritorno al piccolo villaggio sul Mar Nero, ai confini con la Georgia – lo stesso in cui il regista ha trascorso infanzia e adolescenza prima di trasferirsi a Istanbul per frequentare l’università – dove ancora vive sua madre, rimasta sola dopo che sua figlia si è sposata e trasferita e suo marito è morto durante la detenzione del figlio. La donna, anziana, lo accoglie con commozione ma non sa del male del figlio. Anzi, spinge perché si crei una famiglia, condizione che le permetterebbe di affrontare l’ultimo scampolo della sua vita senza preoccupazioni. Con i giovani che lo hanno abbandonato per cercare nuove opportunità nelle città, il villaggio è ormai abitato da sole persone anziane, cosa che contribuisce ad aumentare il senso di perduta appartenenza e la netta impressione che Yusuf si senta ormai in una sorta di limbo, non ancora morto ma nemmeno nella possibilità di pensare a un pur prossimo futuro.
Non facendo mai parola del suo male, Yusuf si appresta a congedarsi dalla vita, passando dal carcere alla prigionia imposta dalla malattia e dalla conseguente mancanza di prospettiva. L’autunno avanza con i suoi colori meravigliosi preparandosi a lasciare spazio all’imminente inverno, e Yusuf frequenta Mikail, suo amico d’infanzia che, abbandonato l’attivismo politico, ha rilevato la più confortevole attività del padre. Con Mikail, Yusuf vorrebbe recarsi per l’ultima volta sulle montagne innevate che sovrastano il villaggio. Non potrà nemmeno permettersi la realizzazione di quel piccolo desiderio, ulteriore tappa di un processo di congedo: l’escursione si interromperà prima del raggiungimento della meta con Yusuf senza più respiro e impossibilitato a fare un ulteriore passo avanti, situazione fortemente simbolica della sua vita in quella fase.
Ma Mikail ha in mente altro e decide di portarlo in città dove trascorrere una serata con due prostitute, una tra le quali è Eka, immigrata che vive vendendo il suo corpo per mantenere madre e figlia rimaste in Georgia, a pochi chilometri da lì. Sarà lei, sua immagine speculare nel condurre una vita che ormai non è più nel loro controllo, a portargli un ultimo alito di vita.

Özcan Alper sceglie di raccontare la storia per sottrazione: eliminando qualsiasi elemento superfluo, riducendo i dialoghi all’essenziale evitando riferimenti troppo espliciti – mentre gli incidenti del passato vengono rievocati attraverso alcune scene in retrospettiva, con sequenze di repertorio che irrompono nella forma di incubi nell’inquieto sonno di Yusuf. Lascia che le accuratissime atmosfere (costruite con il prezioso contributo della fotografia curata da Feza Çaldiran) si impossessino della storia diventandone ulteriori protagoniste e fondendosi in essa senza mai prendere il sopravvento. E non lascia nulla al caso, in un film di cui ogni singolo elemento è frutto di lunghi studi e profonda conoscenza della materia.
Con grande eleganza non solo formale ma ancora di più nell’approccio ai personaggi e al tema, disillusione, lotta, sopraffazione diventano materia per un racconto sempre forte e profondamente poetico, con echi di Chekhov, rivolgendosi infine a una platea potenzialmente senza confini.
Sonbahar è il sorprendente debutto nel lungometraggio di quello che, già con la sua seconda opera, si confermerà come uno tra gli autori più interessanti della sua generazione, che comprende anche, tra gli altri, Hüseyin Karabey, Seren Yüce e Emin Alper e segue quella di Nuri Bilge Ceylan e Zeki Demirkubuz, delle cui lezioni sa fare tesoro elaborandole in modo personale.
Gioiello di sottigliezza e intelligenza, raro esempio di capacità di scavare nell’anima dei suoi personaggi seguendo percorsi inusitati e usando empatia, Sonbahar è uno di quei rari film di cui ogni singolo elemento si fonde nell’altro restituendo un’opera di tale bellezza da lasciare a bocca aperta.

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L’autunno lascerà spazio all’inverno e quindi a una nuova primavera, che Yusuf non vedrà.

Ottimo l’apporto degli attori, che si sono preparati al ruolo visitando i luoghi e conoscendo i loro abitanti prima dell’inizio della lavorazione: Onur Saylak, al suo primo ruolo al cinema dopo una lunga esperienza in teatro, porta una sommessa intensità al suo personaggio attraverso sguardi, espressioni e poche parole. Non gli è da meno Megi Kobaladze, che porta nello sguardo il costante sentimento di perdita del suo personaggio. Nel ruolo della madre, l’attrice non professionista Gülefer Yenigül, abitante di Hopa di cui è anche rappresentante della maggioranza Socialista del municipio. •

Roberto Rippa

rapportoconfidenziale.org

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