Titolo originale: Aloys
Nazionalità: Svizzera
Anno: 2016
Genere: Drammatico, Fantascienza, Fantastico, Visionario
Durata: 91 min.
Regia: Tobias Nölle
Aloys, ritratto virtuale di un uomo fuori dagli schemi
L’immaginazione può fornirci la salvezza alla nostra inquietudine, solitudine e male di vivere, ma cosa succede se non si riesce a porre un freno ad essa? Con Aloys si cerca di porre una risposta a questa domanda. Un film che piacerà di sicuro agli estimatori di Michel Gondry, Charlie Kaufman e Spike Jonze.
Aloys, ultimo accattivante lungometraggio del regista svizzero si avventura nella mente di un uomo ai margini, imprigionato tra realtà e finzione. Aloys, il personaggio principale di una storia d’amore che rasenta la follia (e che follia rigenerante, verrebbe voglia di dire!) parla spesso e volentieri di se stesso alla terza persona, come se osservasse in modo distaccato una vita che sembra non appartenergli. Cosa lo spinge verso una tale dissociazione dal reale? Forse la necessità di distanziarsi da un mondo che non lo accetta per quello che è, che non tollera l’unicità della sua mente talmente sensibile da diventare irreale. La sua esistenza sembra sospesa tra la monotonia ritualizzata di un quotidiano apparentemente soffocante e il rassicurante mondo interiore che lo abita, sorta di rifugio dove trasformare il reale in violenta poesia.
Aloys Adorn (sorprendente Georg Friedrich) è un detective che vive e lavora con suo padre con il quale intrattiene una rapporto fusionale. La sua routine professionale entra poco a poco nella sua vita privata spingendolo a filmare 24 ore su 24 delle persone con le quali non intrattiene apparentemente nessun rapporto. Alla morte di suo padre l’universo di Aloys cade a pezzi e niente può ormai più proteggerlo dal mondo che lo circonda. Dopo una notte di grandi bevute il nostro misterioso protagonista si sveglia su un bus e scopre che le sue preziose registrazioni sono scomparse. Poco dopo viene contattato da una misteriosa donna, Vera, che comincia con lui un oscuro gioco telefonico chiamato “telephone walking” che utilizza l’immaginazione come unico mezzo di connessione. Un nuovo universo, sensuale e deliziosamente violento, sorprendentemente più vero del vero, si profila allora all’orizzonte.
Fino a dove ci possiamo spingere prima che l’irreale si trasformi in follia? Il concetto di follia esiste realmente oppure non è che una parola per definire quel qualcosa che ci sfugge immancabilmente di mano? Nel caso di Aloys potremmo parlare di ossessione, scappatoia virtuale da un mondo che non può accettare se non filtrato attraverso l’occhio della sua telecamera. Tobias Nölle dipinge con eleganza un anti eroe moderno alla ricerca di se stesso, un personaggio agli antipodi del “macho man” standardizzato dal sorriso smagliante e dal comportamento irreprensibile che ci viene generalmente propinato. Quella di Aloys è una follia incredibilmente umana e toccante dal sapore underground (da intendersi come cotrocorrente). La relazione che intrattiene con Vera, malgrado la distanza fisica, diventa sempre più intima e concreta, come se l’immaginazione che li unisce potesse sostituire il contatto dei corpi, il sapore e la delicatezza della pelle. La stupenda fotografia di Simon Guy Fässler e i sorprendenti piani che sembrano isolare Aloys dal resto del mondo regalano all’insieme del film un tocco quasi esoterico dai toni romanticamente pop. Un film misterioso e potente come antidoto contro la banalità.
Recensione: cineuropa.org