ADRIFT IN TOKYO [SubITA]

Titolo originale: Tenten
Nazionalità: Giappone
Anno: 2007
Genere: Commedia, Drammatico, Grottesco, Visionario
Durata: 101 min.
Regia: Satoshi Miki

Visto che ha condotto una vita pigra, Fumiya è iscritto all’ per otto anni e ora deve molti soldi a degli usurai. Un giorno, un uomo di nome Fukuhara va a ritirare la somma, che Fumiya non può però pagare. Così Fukuhara gli fa una proposta: cancellerà il debito a patto che Fumiya accetti di attraversare con lui a pied Tokyo fino alla stazione di polizia di Kasumigaseki, dove ha intenzione di accusarsi di un crimine del quale si è profondamente pentito. Non avendo molta scelta, Fumiya accetta l’affare. Inizia così il loro viaggio… [sinossi]

Che la commedia sia tra le arti una delle più difficili da trattare con grazia e levità, non lo si scopre di certo adesso. Un film come Adrift in Tokyo, quinto lungometraggio firmato da Satoshi Miki, permette di arricchire ulteriormente la discussione in merito: rispetto alle opere precedenti del regista, la storia della stralunata coppia composta da uno studente perennemente fuori corso (straordinario come al solito Joe Odagiri) e un esattore di debiti di mezza età (Tomokazu Miura, avvistato di recente nell’ottimo Matsugane ransha jiken/Matsugane Potshot Affair di Nobuhiro Yamashita), in viaggio insieme per le strade della capitale nipponica, presenta uno scarto narrativo tutt’altro che indifferente.
Se l’idea che sembra permeare fin nelle radici il cinema di Miki non appare deturpata (uno sbilenco sguardo comico sulle amarezze della vita), c’è da dire che mai prima d’ora la mistura agrodolce proposta dal cineasta aveva raggiunto un tal grado di compiutezza e amalgama. Tutte le gag presenti in questo road movie atipico destinato a trasformarsi gradualmente in delicata storia di solitudine e voglia di comprensione, colpiscono con eccezionale freddezza nel segno.

A tal proposito non sarebbe neanche giusto tentare di elencarle, ma si ritene necessario portare un esempio pratico della capacità di scrittura di Miki: la lunga sequenza di pedinamento, da parte del giovane squattrinato e nullafacente, di un chitarrista bislacco e anarcoide (quantomeno all’apparenza). Il musicista da strada effettua i suoi virtuosismi ai limiti del paradosso e Odagiri lo segue in silenzio, iniziando poco alla volta a imitarlo; ma quando il chitarrista si trova a passare davanti a due poliziotti, mettendo da parte la sua spinta iconoclasta e inchinandosi lievemente, il giovane lo guarda deluso e lo abbandona al suo destino.
Questa sequenza, solo apparentemente casuale o staccata dal contesto, dimostra in realtà in pieno l’etica che muove il cinema di Miki: a fronte di una ricerca del bizzarro fine a se stessa, Miki mette sul piatto della bilancia un cinema sghembo, magari inesatto (ma per quanto riguarda ritmo e tenuta narrativa Adrift in Tokyo non teme rimbrotti) ma con un potenziale poetico personale e dinamitardo. E, sfruttando a dir poco minimali, riesce anche a raccontare l’ giapponese di questo nuovo millennio, senza filtri intellettuali e lasciando da parte facili coperte demenziali.
A una prima parte spensierata e volutamente episodica, in cui le gag scaturiscono con naturale facilità da un tessuto narrativo scarno ed essenziale, Miki contrappone un crescendo emotivo e drammatico a dir poco struggente; la seconda metà del film, con quel tentativo di (impossibile) ricostruzione della famiglia borghese e la fittizia ma definitiva assunzione da parte dei protagonisti dei ruoli di e figlio, vola davvero alto.

L’irrazionale (l’uxoricidio, il desiderio disperato di costruirsi attorno un nucleo familiare) non è per Miki la negazione della realtà, ma ne rappresenta una sublimazione, la sfida estrema che ogni uomo deve porsi per poter affrontare la vita. Una vita che è alla deriva, come lo sono tutti i personaggi di questo film, perfino i minori, e che non ha bisogno di climax per raggiungere l’apice del proprio percorso (si veda, in tal senso, l’eleganza con cui viene risolta la scena finale); una vita che, probabilmente, è figlia di una contemporaneità nipponica schizoide almeno quanto la penna di Satoshi Miki, che qui finalmente mette in mostra tutto quel potenziale che era possibile intuire nelle opere precedenti.
Un film assolutamente inutile ed essenziale Adrift in Tokyo, nella cui deriva è consigliato farsi avviluppare completamente.

Guarda anche  ENTER THE VOID [SubITA]

Recensione: quinlan.it

 

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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