A TIME FOR DRUNKEN HORSES [SubITA]

Titolo originale: Zamani barayé masti asbha
Nazionalità:
Anno: 2000
Genere: Drammatico, Guerra
Durata: 80 min.
Regia: Bahman Ghobadi

Nella regione del Kurdistan, al confine tra e Iraq, tre fratelli tentano di sopravvivere in un mondo di adulti. Ayoub si unisce alle carovane di commercianti curdi iraniani per attraversare il confine e vendere le proprie merci sul mercato iraqeno. Il ragazzino deve riuscire a guadagnare una somma di denaro sufficiente per fa operare il fratello Madi, affetto da una grave malattia. 

Confini
Il Kurdistan è un non luogo diviso tra Iran, Iraq e Turchia, dove la miseria è speculare alla sopravvivenza di un e della sua cultura, dove si contrabbanda alcol ma si beve tè, secondo i precetti islamici che vietano di bere alcolici, un divieto non prescritto ai muli (i del film), ai quali è fatto bere mischiato con acqua per sopportare il carico e il freddo della montagna.

Bambini
È la storia di cinque bambini, tre sorelle e due fratelli. I bambini del villaggio di Sardab incartano bicchieri, inscatolano saponette, scaricano merci per quel poco da portare a casa, un villaggio tra i monti innevati, in una aspra come la loro quotidianità, dove le mine antiuomo costituiscono un’ennesima sfida alla sopravvivenza, dove morire è molto, troppo semplice.

Il dei ubriachi è un film curdo, parlato in lingua curda, girato in un villaggio curdo-iraniano ai confini con l’Iraq dove vivono cinque fratelli orfani di madre e, di lì a poco, di padre. Una realtà ricreata per il cinema, una storia in cui i bambini sono adulti, in cui un fratello maggiore diviene padre e una sorella maggiore diviene madre. Una storia dove l’unico a rimanere bambino è Madi, quindicenne affetto da una grave forma di nanismo.

Opera prima di Ghobadi con la quale, proprio nel 2000, ha vinto quasi una decina di premi (otto per la precisione) in sette paesi diversi, due nei soli Stati Uniti. I premi più importanti li ha ricevuti al Festival di Cannes (Caméra d’Or e FIPRESCI).

Il regista ci offre uno sguardo partecipe e al contempo distaccato, una distanza che da sola può offrire un quadro esauriente dei fatti, uno scorcio casuale degli eventi, secondo i codici visivi del documentario. Ed ecco l’uso dei campi lunghi, come quando segue con pudore il dolore della separazione tra Ayoub e la sorella maggiore, andata in sposa ad un iracheno che ha promesso di far operare Madi, un uomo a lei sconosciuto e che soprattutto non ha scelto, tradizione che nasconde l’imbroglio quando la madre dell’uomo rifiuta il ragazzo.

Rispetto, dignità, in una parola per la umana che si va ad indagare.
Lezione di realismo cinematografico dimenticato o rimosso dagli italiani, dove l’ironia (Madi seduto di spalle mentre guarda il poster di un uomo muscoloso regalatogli dal fratello) emerge come elemento principe di un’esistenza strappata al dolore, dove troviamo la tenerezza dei volti e degli sguardi dei piccoli protagonisti, gesti amorevoli tra fratelli.

Il racconto si sviluppa fuori da ogni concessione melodrammatica, seminando informazioni (sapevamo del contrabbando di quaderni?) senza scivolare nel didattico, inserendo lo sguardo autoriale in modo impercettibile come nel migliore docu-drama, segnando la sospensione del tramite elementi chiari ma non ostentati. E proprio il tempo divide quest’umanità dal resto del mondo, e se i bambini a scuola imparano come una litania del primo volo in aereo dell’uomo, ovviamente occidentale, ovviamente americano, qui il mulo rimane l’unica ricchezza e il maggior mezzo di trasporto.

Recensione: asianworld.it

 

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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