A DOG CALLED MONEY (SubITA)

Titolo originale: A Dog Called Money
Paese di produzione: Irlanda, Gran Bretagna
Anno: 2019
Durata: Un’ora emmezza
Genere: musicale
Regia: Seamus Murphy

È passato parecchio tempo da quando pensavo che PJ Harvey fosse un rapper nero tatuato e galeotto. Nel frattempo tante altre simili rivoluzioni culturali sono avvenute. Come il progressivo annichilimento suicida del positivismo e materialismo che spero finalmente si levino di mezzo e ci facciano respirare. La speranza non muore mai.

La signorina Polly J Harvey, intanto, ha sfornato capolavori incredibili arricchiti dalla sua tendenza a mescolare le arti ed espandere ispirazioni ed interessi a 360 gradi.
A Dog Called Money è un che sta alla base del disco “The Hope Six Demolition Project” del 2016, composto dopo i viaggi che la cantautrice ha fatto a Washington, Kosovo e Afganistan col fotografo e filmmaker Seamus Murphy. (FRA)

Il titolo dell’album è un riferimento ai progetti HOPE VI negli Stati Uniti, “dove le case popolari fatiscenti in aree ad alto tasso di criminalità sono state demolite per far posto ad abitazioni migliori, ma con l’effetto che molti residenti precedenti non potevano più permettersi di vivere lì, portando a rivendicazioni di pulizia sociale”.
L’album è stato creato in sessioni aperte al pubblico nell’ambito di un’installazione artistica alla Somerset House di Londra chiamata Recording in Progress. Le sessioni, della durata di quarantacinque minuti ciascuna, sono iniziate il 16 gennaio 2015 e si sono concluse il 14 febbraio. Gli spettatori hanno potuto assistere alla creazione dell’album da parte di Harvey attraverso un vetro unidirezionale insieme ai produttori Flood e John Parish, che avevano entrambi lavorato al precedente album di Harvey, Let England Shake.
Prima di entrare sono stati confiscati telefoni cellulari e dispositivi con capacità di registrazione e gli spettatori sono stati condotti in una stanza al piano interrato. Durante la prima visione, l’artista stava lavorando a una canzone intitolata “Near the Memorials to Vietnam and Lincoln”, contenuta nell’album. Harvey avrebbe suonato il violino, l’armonica e la ghironda. È stato inoltre riferito che l’artista era affiancata dai musicisti Terry Edwards e James Johnston e che Seamus Murphy stava filmando l’intera sessione. (wikipedia)

 


PJ Harvey – A Dog Called Money

Un affascinante che intreccia la registrazione dell’album The Hope Six Demolition Project con scene dal mondo. 

Inizia con un’immagine di bellezza tragica, che come tutte le visioni decadenti ha qualcosa di misteriosamente attraente. È una sala abbandonata, fatiscente, quasi un reperto archeologico. Un luogo che, in questi giorni, assume un significato a tratti inquietante.

“Fino a venti anni fa potevi pagare il biglietto del cinema in pallottole”, dice PJ Harvey, anima che abita ogni angolo di PJ Harvey – A Dog Called Money, il diretto dal pluripremiato fotografo Seamus Murphy.

E poi una successione di macerie, case saccheggiate, avanzi di metropoli. In controcanto, la registrazione dell’album The Hope Six Demolition Project, che PJ Harvey incise in uno studio londinese costruito per l’occasione. Più che un ritratto d’artista, PJ Harvey – A Dog Called Money è un film su un progetto. Quello che mette in connessione l’attività musicale di un’icona del rock (ha collaborato con Nick Cave e Thom Yorke) con lo sguardo di un artista immerso nell’osservazione di un atto creativo.

A monte, l’idea che niente di questo film sia possibile senza l’esperienza del viaggio, un girovagare nel cuore malato di war zone diverse ma in un certo senso sempre uguali per dolore, privazioni, assenze. Cogliendone, comunque, il fascino visibile a occhi meno pigri e disposti a stupirsi.

Da una Kabul refrattaria alla narrazione mediatica alla Grecia dei migranti, passando per le contraddizioni di un’America sospesa tra la necessità di unire sogni e bisogni e la lacerazione imposta dall’era Trump, raffigurato non a caso su una foto strappata a terra.

Tra la registrazione – che è anche parafrasi nel momento stesso dell’esecuzione e dell’interpretazione – e ciò che accade nel mondo fuori c’è un dialogo che è anche un innesto. Le canzoni escono dalla sala per porsi quale colonna sonora della realtà esterna, tra ragazzini perduti per strada e primi piani di donne che esprimono l’unicità di reazioni inafferrabili.

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Attraverso il filtro di Murphy, PJ Harvey cala la musica nella complessità del reale, intercettando in un orizzonte collettivo angosce che sono personali ma non esclusive. Forse non del tutto capace di instaurare un legame con chi è digiuno della musica della protagonista, ma certo PJ Harvey – A Dog Called Money è un singolare esempio di doc musicale. (cinematografo.it)

 

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