MAD DETECTIVE (SubITA)

Titolo originale: San taam
Nazionalità:
Anno: 2007
Genere: Thriller
Durata: 89 min.
Regia: Johnnie To, Wai Ka-fai

L’Ispettore Bun è un detective con metodi investigativi molto inusuali (arriva a farsi seppellire vivo o rinchiudere in una valigia per immedesimarsi meglio nelle vittime), che sfiorano il soprannaturale e portano alla sua espulsione dalla polizia. Cinque anni dopo, il giovane Ho lo convince ad affiancarlo per risolvere un impossibile: un killer sta mietendo vittime usando la pistola di un poliziotto morto anni prima.

I demoni sotto la pelle

E così anche l’ultimo film a sorpresa presentato alla Mostra di Venezia durante i primi quattro anni di gestione mülleriana è arrivato dall’oriente: dopo Binjip/Ferro 3 di Kim Ki-duk, Takeshis’ di Takeshi Kitano e San xia hao ren/Still Life di Jia Zhang-ke, è stata la volta di Shentan/Mad Detective, diretto da e Wai Ka-fai.

Non che la notizia abbia avuto modo di stupire più di tanto: era dall’inizio del festival che il nome di To tornava ciclicamente durante le discussioni da salotto sul film nascosto, il regalo ultimo del direttore alla frangia più cinefila degli accrediti; dopotutto le opere di questo maestro del hongkonghese erano approdate al Lido con una certa continuità negli ultimi anni (Throw Down nel 2004 ed Exiled durante la passata edizione). Come è fin troppo facile intuire, Mad Detective non è destinato a mettere d’accordo l’intera platea lidense, per una serie di motivi: a dispetto di Exiled, per esempio, si tratta di un’opera che si approssima in maniera meno smaccata al genere, preferendo aggirare gli di thriller e di detection-movie attraverso la messa in scena di una disturbata. Ciò a cui assistiamo, in fin dei conti, non è tanto l’ostinata ricerca del colpevole della scomparsa del poliziotto Wong e dei crimini perpetrati con la pistola sottrattagli, indagine portata avanti dal giovane ispettore Ho e dal suo ex collega e mentore Bun, mente geniale a pochi passi dal tracollo psicologico, ma bensì l’analisi di due mentalità, delle loro paure e delle loro fragilità. Niente a che vedere con il thriller classico dunque, se consideriamo che per un’ora abbondante non c’è spargimento di sangue, non ci sono inseguimenti; lo spettatore viene dunque escluso dal più puramente umorale dell’action e costretto altresì a confrontarsi con i demoni che lo abitano, con le pulsioni più nascoste, con le zone d’ombra che si vengono, quasi inconsciamente, a formare.

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Anche per questo vagheggiamo il rischio di una disaffezione nei confronti della pellicola firmata a quattro mani da To e Wai (all’undicesima coregia, la prima dai tempi – 2003 – di Running On Karma): in effetti nella parte centrale, dopo un incipit clamoroso, la narrazione sembra farsi maggiormente involuta, quasi rinchiusa in una gabbia strutturale che, pretendendosi al di sopra del puro poliziesco, impedisce alla regia – come al solito superba, e su questo ci permettiamo di considerare il ruolo svolto da To decisamente più corposo di quello dell’amico e sodale – quei voli eversivi che da sempre contraddistinguono l’approccio di To alla materia cinematografica. Tanto per esser chiari, è quella parte centrale che ci costringe a parlare “solo” di un ottimo film, ponendo l’oggetto in questione un gradino più in basso rispetto ai capolavori che hanno marchiato a fuoco l’irruzione di To sulla scena mondiale (titoli a caso? Il già citato Exiled, i due Election, e poi PTU, The Mission, Fulltime Killer e chi più ne ha più ne metta). Eppure paradossalmente è proprio la lenta del percorso tracciato dai due cineasti a permettere di focalizzare con maggior precisione una di sguardi e intuizioni che avvalora l’impressione di trovarsi di fronte a uno dei soggetti più originali tra quelli visti negli ultimi anni; e lo scarto con l’ultima parte del film, dove invece l’azione esplode con una forza deflagrante e inaspettata, arriva dirompente come un’onda anomala, trascinando via tutto e tutti. Proprio qui la regia prende finalmente completo dell’opera, conducendoci a tappe forzate in un ansiogeno girone infernale dove i demoni e gli uomini che ne sono abitati diventano il simbolo di un’impossibilità a racchiude il reale che si fa, per ovvio effetto domino del flusso di pensieri, riflessione sulla stessa messa in scena – vedere come viene moltiplicato il senso della citazione wellesiana nella sequenza degli specchi – sulle possibilità della finzione e sulla forza di quest’ultima.

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Recensione: quinlan.it

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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