Titolo originale: Der siebente Kontinent
Nazionalità: Austria
Anno: 1989
Genere: Drammatico
Durata: 104 min.
Regia: Michael Haneke
Un cinico esame dell’ordinaria follia di famiglie apparentemente normali…
Georg e sua moglie Anna si lamentano della loro vita monotona e isolata. La figlia Eva, in un disperato tentativo di attrarre l’attenzione, improvvisamente finge di diventare cieca. I genitori spaventati decidono di non emigrare più in Australia.
Nel 1989 Haneke scrive il suo primo film per il cinema: Der Siebente Kontinent. In quel periodo il regista legge una serie di articoli riguardanti fatti di sangue avvenuti all’interno di famiglie piccolo borghesi e rimane fortemente colpito dalle loro dinamiche. Anna (Birgit Doll), Georg (Dieter Berner) e Eva (Leni Tanzer) sono i tre componenti della famiglia Schober. Le vicende familiari si sviluppano nell’arco di tre anni, dal 1987 al 1989.
Georg lavora presso una grande azienda come addetto alla sicurezza, mentre Anna si occupa del negozio di famiglia: un negozio di ottica in cui lavora anche suo fratello Alexander (Udo Samel). La routine quotidiana scorre inesorabile e sempre uguale a se stessa, ma qualcosa sembra minarla dall’interno… Der Siebente Kontinent è un film che paralizza, sia per gli eventi narrati che per la clinica rigidità della messa in scena. Haneke inchioda lo spettatore e il suo sguardo impedendogli qualunque via di fuga e con questa trappola emotiva, che lascia sconcertati al termine della visione, racconta l’orrore della quotidianità quando diventa sterile ed ellittica coazione a ripetere. Nella prima parte del film, non vediamo mai i tre protagonisti, ma percepiamo solo le azioni che compiono dal risveglio fino al termine della giornata.
In Der Siebente Kontinent, nella vita della famiglia Schober non cambia mai nulla eccetto gli spazzolini da denti e la macchina (solo il colore, non il modello). La routine continua, persistente e metodica, impedisce una vera e propria liberazione anche nel momento della scelta “estrema” (la distruzione di cose e persone avviene in modo drammaticamente metodico), scandita dalla stessa frequenza con cui scorrono le immagini televisive (nel film ci sono schermi sempre accesi). Haneke sembra dunque porre una domanda: le immagini scorrono senza lasciare traccia? In realtà ciò accade solo apparentemente, perché l’eredità che lasciano è ben più grave e si risolve in una vera e propria violenza esercitata sulla mente di chi le guarda. Quest’assunto prende forza nel finale straziante dove la famiglia si suicida disperatamente, ma compostamente, davanti allo scorrere delle immagini televisive. Anna uccide la figlia Eva con un bicchiere di latte avvelenato mentre sullo schermo scorrono le immagini di un video musicale: la canzone è The Power of love. Se non è cinismo questo…
Recensione: nocturno.it