BRONCO BULLFROG (SubITA)

Titolo originale: Bronco Bullfrog
Paese di produzione: Regno Unito
Anno: 1970
Durata: 90 minuti
Genere: Drammatico
Regia: Barney Platts-Mills

Sinossi:
In una Londra periferica e ruvida, lontana da qualsiasi cartolina, un gruppo di adolescenti trascorre le giornate tra piccoli furti, vagabondaggi e sogni confusi. Del, detto Bronco Bullfrog, è il più carismatico e autodistruttivo del gruppo. Vive in bilico tra il desiderio di affermazione e l’impossibilità di immaginare un futuro reale. Quando incontra una ragazza che sembra offrire una via di fuga, l’illusione di un cambiamento si scontra brutalmente con il peso dell’ambiente, delle dinamiche di gruppo e di una violenza che non ha bisogno di essere esplicitata per essere onnipresente.

Recensione:
Bronco Bullfrog è un film che non recita, non costruisce, non protegge. Barney Platts-Mills gira un’opera che sembra più un incidente documentato che una fiction, un frammento di realtà catturato prima che qualcuno potesse ripulirlo o renderlo narrativamente accettabile. È un cinema che sporca le mani, che non cerca redenzione e che rifiuta qualsiasi forma di morale esplicita.

Il film è abitato da corpi giovani già stanchi. Ragazzi che si muovono come animali in gabbia, costretti a recitare ruoli che non hanno scelto. Del non è un ribelle romantico, non è un simbolo generazionale costruito a tavolino. È un ragazzo aggressivo, fragile, incoerente, spesso insopportabile. Ed è proprio questa mancanza di addomesticamento a renderlo reale. Platts-Mills non lo giustifica mai, non lo condanna, lo osserva mentre si consuma.

La Londra che emerge dal film è una città ostile, priva di promesse. Non c’è glamour, non c’è ribellione estetizzata. Le strade, i parchi, le case popolari sembrano spazi transitori, luoghi che non permettono radicamento. Tutto suggerisce una condizione di passaggio eterno, una giovinezza che non conduce da nessuna parte. Il film sembra dire che la marginalità non è una fase, ma uno stato permanente.

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Il gruppo è fondamentale: Bronco Bullfrog è un film sulla dinamica del branco. L’identità individuale viene sacrificata in nome dell’appartenenza, della lealtà, della paura di restare soli. Ogni gesto di violenza, ogni bravata, ogni atto di sabotaggio emotivo serve a riaffermare un ruolo all’interno del gruppo. Uscirne è possibile solo a parole, mai nei fatti. Chi prova a farlo paga un prezzo immediato.

C’è una crudeltà sotterranea nel modo in cui il film tratta il desiderio di fuga. L’incontro sentimentale non è una salvezza, è una crepa temporanea. Il film smonta con precisione chirurgica l’idea che l’amore o il sogno possano bastare a scardinare un contesto sociale che ti ha già definito. Ogni tentativo di evasione viene riassorbito, neutralizzato, reso ridicolo o pericoloso.

Lo stile è secco, diretto, quasi indifferente. La macchina da presa non cerca empatia, non si avvicina per spiegare. Registra. Questo approccio crea una sensazione inquietante di verità non mediata, come se lo spettatore stesse spiando qualcosa che non dovrebbe vedere. Non c’è musica a guidare le emozioni, non c’è montaggio consolatorio. Solo tempo che passa e vite che si incagliano.

Sotto la superficie realista, Bronco Bullfrog ha una dimensione quasi rituale, come se raccontasse un sacrificio ciclico. I giovani protagonisti sembrano destinati a ripetere gli stessi gesti, le stesse dinamiche, le stesse sconfitte. È un film che suggerisce l’esistenza di una trappola invisibile, sociale e mentale, da cui non si esce con la volontà individuale. Una sorta di maledizione laica, sistemica, che non ha bisogno di simboli esoterici per essere percepita.

Il finale non offre chiusure. Non c’è catarsi, non c’è insegnamento. Il film semplicemente si interrompe, come se continuare sarebbe stato superfluo. E questa interruzione pesa come una sentenza: nulla è cambiato, nulla cambierà davvero.

Bronco Bullfrog resta uno dei ritratti più brutali e onesti dell’adolescenza marginale nel cinema britannico. Un film scomodo, ruvido, incapace di invecchiare perché non appartiene a una moda, ma a una ferita ancora aperta. Non chiede di essere amato, chiede solo di essere guardato senza filtri. E questo, alla fine, è molto più difficile.

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By Anam

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