FERAT VAMPIRE (SubENG)

Titolo originale: Upír z Feratu
Titolo internazionale: Ferat Vampire
Paese di produzione: Cecoslovacchia
Anno: 1982
Durata: 92 min
Genere: Horror, Fantascienza, Satirico
Regia: Juraj Herz

In una Cecoslovacchia sospesa tra modernità e incubo, l’ex paramedica Mima viene assunta come pilota di una misteriosa auto da corsa, la Ferat, prodotta da una potente casa automobilistica. Ma ben presto scopre che la macchina non funziona a benzina: si nutre del sangue dei suoi conducenti. Il dottor Marek, suo ex collega, inizia a indagare e svela una cospirazione industriale che mescola tecnologia, vampirismo e sfruttamento umano. Mentre la Ferat diventa un simbolo di successo e desiderio, le sue vittime scompaiono tra le ombre dei laboratori, risucchiate da un ingranaggio che trasforma la carne in carburante. In bilico tra satira e orrore, Ferat Vampire racconta la seduzione letale del progresso e il prezzo sanguinoso della velocità.

Ferat Vampire di Juraj Herz è uno di quei film che ti mordono piano, quasi con eleganza, e solo dopo ti accorgi che ti hanno svuotato. È un’opera che cammina sul filo sottilissimo tra la satira e l’incubo, tra l’allegoria sociale e l’orrore meccanico, costruita da un regista che ha fatto del grottesco un’arte, della deformazione una lingua. Herz, già autore dell’immenso Il crematorio (1969), ritorna qui con una parabola ancora più ambigua e corrosiva: una fiaba nera travestita da fantascienza industriale, dove il sangue non viene succhiato da un vampiro umano, ma da una macchina, un’automobile — la “Ferat” — alimentata dal sangue dei suoi piloti.

L’idea, apparentemente assurda, funziona come un meccanismo di precisione. In un’epoca in cui l’uomo è ormai completamente asservito alla tecnologia, Herz ribalta il mito classico del vampiro, trasformandolo in una metafora inquietante della modernità socialista e del capitalismo travestito da progresso. Il film è del 1982, eppure sembra profetizzare un mondo in cui il sacrificio del corpo — del sangue, della carne — è il prezzo inevitabile della velocità, della competizione, del successo. Il motore non brucia benzina, ma vita.

Lo sguardo di Herz è chirurgico e perverso. Non gli interessa solo spaventare, ma smascherare, sezionare la realtà e mostrarne il midollo marcio. La Ferat è più di un’auto da corsa: è una divinità meccanica, un’idra d’acciaio che chiede in cambio della sua potenza l’essenza vitale dell’uomo. È l’incarnazione del capitalismo tecnologico, della macchina come entità viva e divoratrice, del potere industriale che divora chi lo serve.

La protagonista, Dagmar Veškrnová-Havlová (straordinaria e glaciale), è un’ex paramedica attratta dal fascino oscuro della Ferat e del suo pilota. Intorno a lei ruotano medici, tecnici, uomini in giacca e cravatta che fingono di non vedere l’orrore pur di mantenere il proprio status. È un mondo in cui la verità è sempre un passo più indietro, dove l’etica si dissolve nel rumore dei motori. La vampirizzazione non è solo fisica, è morale: l’uomo perde sangue, ma anche coscienza, dignità, libertà.

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L’estetica di Ferat Vampire è meravigliosamente contaminata: Herz alterna la freddezza del bianco ospedaliero con il rosso dei laboratori, l’erotismo velato con la satira sociale più corrosiva. Il tono è costantemente ambiguo — mai veramente horror, mai del tutto ironico — e proprio per questo ipnotico. Ogni inquadratura sembra oscillare tra un sogno lucido e una pubblicità infernale, tra un spot automobilistico e un rituale sacrificale.

È come se il regista avesse immaginato un mondo in cui Cronenberg incontra Kafka in una fabbrica socialista: la burocrazia e la tecnologia diventano strumenti di tortura esistenziale, la scienza un pretesto per perpetuare il dominio sul corpo. Herz, con la sua maestria visiva, costruisce un universo che è insieme assurdo e credibilissimo, una realtà alternativa che ci costringe a guardare la nostra dipendenza dalle macchine come se fosse un atto religioso.

Eppure Ferat Vampire non è un film che si prende troppo sul serio. C’è ironia, c’è sarcasmo, c’è la leggerezza amara del regista che sa di non poter cambiare il mondo ma può almeno ridicolizzarlo. Il titolo stesso è una beffa: “Ferat”, anagramma di “Tatra”, casa automobilistica cecoslovacca realmente esistente, è il simbolo di un sistema industriale che promette il futuro mentre divora il presente.

La macchina come vampiro è una delle più grandi intuizioni di Herz: un concetto che oggi, nell’epoca delle intelligenze artificiali e del consumo compulsivo, suona ancora più attuale e terrificante. La Ferat rappresenta la seduzione della velocità, dell’innovazione, del potere: un patto faustiano in cui l’uomo sacrifica la propria umanità per sentirsi immortale per qualche secondo, lanciato sull’asfalto come una particella di sangue nel flusso arterioso del progresso.

Ciò che colpisce è la capacità di Herz di unire critica sociale e immaginario gotico, satira e metafisica. Le autostrade diventano cattedrali, i circuiti da corsa dei templi sacrificali, i meccanici dei sacerdoti in tuta blu. E l’automobile, oggetto simbolo della modernità, diventa un mostro mitologico, una divinità industriale che esige sacrifici umani.

L’orrore, nel cinema di Herz, non è mai soltanto visivo: è sempre un orrore dell’anima, dell’ideologia, della collettività che si piega e adora il suo carnefice. In questo senso, Ferat Vampire è un film profondamente politico, una critica mascherata all’intero sistema di produzione e controllo del corpo umano nella società contemporanea.

La colonna sonora, ossessiva e sintetica, amplifica la sensazione di trance e alienazione. Ogni suono è pulsazione, ogni accelerazione un battito cardiaco meccanico. L’automobile non è solo un mezzo di trasporto, ma una pulsazione del sistema stesso: un cuore artificiale che pompa sangue e ideologia, un organismo che vive nutrendosi delle passioni e dei fallimenti umani.

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Alla fine, ciò che rimane non è la paura, ma la malinconia. Herz ci mostra un mondo in cui l’uomo ha perso il contatto con la propria carne, dove il sangue è solo un combustibile tra gli altri. È la tragedia dell’essere umano che vuole superare i propri limiti e finisce per diventare carburante per la macchina che ha creato.

Ferat Vampire è un film che non smette di respirare anche dopo i titoli di coda, un’opera che ti perseguita come un sogno meccanico, come un rumore di motore nel buio. Herz, ancora una volta, costruisce un racconto in cui la mostruosità è solo una lente d’ingrandimento sulla normalità. Il vero vampiro non è l’auto, ma il sistema che la produce e la desidera.

Un film che parla di sangue e benzina, ma anche di ideologia, di desiderio, di sacrificio. Un film che ride e morde, che si insinua nelle vene della cultura contemporanea e ti fa chiedere quanto sangue stai ancora disposto a dare per continuare a correre.

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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