BETTY BLUE [ITA]

Titolo originale: 37°2 Le Matin
Paese di produzione: Francia
Anno: 1986
Durata: 120 min.
Genere: Drammatico, psicologico, sentimentale
Regia: Jean-Jacques Beineix

Ero felice di scrivere qualcosa su Betty Blue perché per me è un film speciale. Mi ricordo molto bene la prima volta che lo vidi, anche se non so dire con esattezza l’età. In ogni avevo tra i 17 e i 20 anni. Di certo hai presente quando ti risvegli da un sogno particolare, ricolmo di sensazioni potentissime, come un concentrato incredibilmente forte di  seduzione ed atmosfera, un sentimento che si cerca di trattenere il più possibile, sottraendolo alle grinfie della veglia, che con le sue manacce molli ed opache è sempre sull’attenti per svuotare ogni cosa della sua consistenza e gettarla per terra, sulle strisce pedonali sulla via dell’ufficio.

Quando vidi Betty Blue mi capitò qualcosa del genere. Rimasi immerso nella sua atmosfera come in una bolla goduriosa per una settimana o giù di lì. Un’atmosfera squisita , tesa e consistente, piena di promesse che poi svanì piano piano ma lasciò un ricordo. Qualcosa di simile ad una definizione, un codice, una parola che indica qualcosa che è ormai svanito e che sta lì a ricordarti che quella cosa c’è stata. Quella cosa c’è. Esiste. E magari un giorno si farà riacciuffare.

Quando mi son seduto davanti al pc per sillabare quella parola e scrivere del film, però, mi sono trovato in totale difficoltà. Non mi usciva nulla. Quella parola non veniva, e comunque non sarebbe stata sufficiente perché avrei dovuto “spiegarmi”.

Presentare il film a qualcun altro.

Decisi quindi di aspettare un po’ e riflettere sul motivo di questo blocco totale,  fastidioso e inaspettato.

Dopo un paio di giorni mi resi conto che la mia difficoltà nello scrivere di questo film derivava da quel preciso lato del mio carattere che ho sviluppato (in modo compulsivo, probabilmente) proprio dopo e grazie alla visione di Betty Blue.

A bloccarmi era un contrasto che nasceva in me appena cercavo di buttar giù qualcosa che fosse sufficientemente onesto per rendere onore al film stesso. Recensire un film che è per me simbolo di impulsività, libertà, anarchia, anelito verso una vita “vissuta” è una contraddizione in termini perché “recensire”, secondo me, è un’attività nevrotica, presuntuosa, limitata e limitante, colma di una saccenza degna di un politico (e come diceva Woody Allen, si sa, quelli stanno un gradino sotto a quelli che s’inchiappettano i bambini). Recensire, come atto critico, vuol dire imporre un’oggettività forzata, definita da un linguaggio preciso formulato appositamente per autogiustificarsi. Vuol dire ingabbiare un’opera d’arte in un processo vizioso e masturbatorio di giudizio, in cui ogni termine e concetto ordinato utilizzato rimanda esclusivamente a se stesso, per innalzare una costruzione adatta ad poco fantasiosi e carichi di bile. Quelli che ti appiccicano il regolamento condominiale sulla porta per invitarti a non violarlo. Il critico, insomma, è per forza di cose un po’ stronzo. Parte da presupposti stronzi e la roba che fa germogliare è sempre una stronzata puzzolente.

Betty Blue aveva toccato un punto preciso, fatto risuonare delle precise corde che non sono mai riuscito a focalizzare (“ma Fra, cos’è sta passione viscerale? Perché ti piace così tanto? Hai rotto i coglioni!”) finché il grandissimo e inimitabile Philip K. Dick non intervenne come sempre a confondermi le idee per chiarirmele. In un discorso pronunciato ad un convegno sulla fantascienza tenutosi in qualche università del Canada, se non ricordo male, a metà degli anni 70, papà Dick cercava di dare un contributo alla comprensione di cosa sia l’umanità. Con mente d’antropologo si chiedeva: “cosa, nel nostro comportamento, possiamo definire specificamente umano? Cosa ci contraddistingue come specie vivente?” Perché qualcosa c’è. Ma COSA? E il suo tentativo si sviluppava nel confronto tra L’androide e l’essere umano. La filosofia della mente ci sta impazzendo su. Non è roba da ridere. La “teoria dei qualia“, per esempio, è una richiesta d’aiuto al lato destro del cervello della specie. Il dibattito è tutt’oggi apertissimo, ed è strutturato sulle stesse basi del convegno di Phil degli anni 70. Si fanno esperimenti mentali in cui si sostituisce gradualmente il silicio ai neuroni umani per vedere a che punto l’umanità cessa di esistere nell’individuo, il quale da quel momento è da considerarsi un “robot” vero e proprio. Si prova a spremere la fuori dalla nostra concezione dell’individuo umano, come i rimasugli di dentifricio fuori dal tubetto. Ci si chiede se un termostato sia dotato di coscienza, si formulano mondi possibili in cui l’apparenza e la storia è identica in tutto e per tutto al nostro mondo, ma lì gli elementi chimici che formano la materia sono diversi. Se ne dicono di ogni ed è tutto molto stimolante, insomma. A dimostrazione che sul problema ci si arrovella parecchio. E se il mio cerebro frastornato ha deciso di mettere Betty Blue come commento visivo a questa serie di discussioni è perché ha trovato un link, un legame che collega queste discussioni, il discorso di P.K. Dick ed il film di J.J. Beineix. Questo legame è il concetto che usa P.K. Dick per svolgere la sua discussione: quello di ribellione. Dick fa due esempi ben distinti di atti ribelli. Se l’androide è per Dick tutto ciò che è non-umano, controllabile, prevedibile, manipolabile, il sogno delle dittature politiche, gli atti di ribellione dovrebbero fornire materiale di analisi per cercarci la qualità umana. Gli esempi che usa nel discorso appartengono da una parte alla categoria dell’atto di ribellione ideologica, di stampo politico, legata per l’appunto ad un concetto, un’idea che si contrappone ad un’altra; dall’altra parte a quegli atti volti ad infrangere una regola, simili a semplici ragazzate, come rubare bottigliette di coca-cola o smontare una radio (che magari trasmette pubblicità politiche) per calibrarne la qualità del suono o estrarre qualche componente da montare sulla propria Buick.

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<<Mentre i figli del nostro mondo combattono per sviluppare la loro nuova individualità, la loro irriverenza quasi scorbutica per le verità che noi adoriamo, diventano per noi – e con ‘noi’ intendo la classe dirigente – una fonte di problemi. Non mi riferisco necessariamente ai giovani politicamente attivi, quelli che si organizzano in associazioni, con slogan e bandiere, anche perché per me quello è un ritorno al passato, per quanto quegli slogan possano essere rivoluzionari. Mi riferisco a ciascun ragazzo nella sua individualità, mentre si occupa di quelle che definiamo ‘le sue cose’. Per esempio, potrebbe non infrangere la mettendosi seduto sui binari davanti a treni che trasportano truppe militari; la sua della legge potrebbe consistere nel prendere la macchina e andare a un drive-in con 4 amici nascosti nel bagagliaio per evitare di pagare. La prima trasgressione ha implicazioni politiche e teoriche; la seconda consiste in una semplice mancanza di accordo sul fatto che una persona debba sempre fare ciò che le viene ordinato, in particolare quando l’ordine proviene da un cartello affisso. In entrambi i casi c’è disobbedienza. Potremmo elogiare la prima considerandola significativa, mentre la seconda potremmo ritenerla semplicemente un  gesto irresponsabile. Tuttavia è nella seconda che io intravedo un migliore. Dopotutto, la storia è piena di movimenti di persone organizzate che si oppongono al potere. Qui si tratta banalmente di un gruppo che usa la forza contro un altro, chi detiene il potere contro chi non ce l’ha. E fin ora, in questo modo, non si è riusciti a realizzare nessuna utopia. E io penso che sarà sempre così.

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Diventare quello che io definisco, in mancanza di un termine migliore, un androide, significa ciò che ho detto: permettere a se stessi di diventare un mezzo, oppure essere costretti, manipolati, resi un mezzo inconsapevolmente o contro la propria volontà. Il risultato è lo stesso. Ma non puoi trasformare un umano in un androide se l’umano infrange le leggi ogni volta che ne ha la possibilità. L’androidizzazione richiede obbedienza. E, soprattutto, prevedibilità.

Che sia per pigrizia, scarsa capacità di concentrazione, depravazione, tendenze criminali… quali che siano le etichette che volete affibbiare al ragazzo per spiegar la sua inaffidabilità, vanno bene. Ciascuna significa semplicemente una cosa: possiamo dirgli più e più volte cosa fare, ma quando viene il momento che lui lo faccia, tutte le istruzioni subliminali, tutti gli indottrinamenti ideologici, tutte le droghe tranquillanti, tutta la psicoterapia sono una perdita di tempo.

Non salterà allo schiocco della frusta. >>

Ogni frame colorato e grottesco di Betty Blue mi sparò in faccia questa cosa. La sua musica commovente, il suo stile, il personaggio di Betty ma ancor più il rapporto che la lega a Zorg. Le cazzate che combinano, il bisogno di e realizzazione che drammatizzano la storia ma la rendono anche incredibilmente poetica, struggente e divertente. La qualità radiosa emanata da tante scene secondarie, tra cui spiccano quelle iniziali fra quei bungalow favolosi.

Questa fu la squisita sensazione che attraverso lo stomaco e le budella mi trafisse dai coglioni alla gola. Facendomi schizzare a spalancare le finestre. Testimonianza della potenza del Cinema, che in questo mi parlò schietto e spero dica qualcosa anche a te.

È in questa speranza che sta il motivo di questo e di tanti altri “post” e della loro esistenza nella cloaca mediatica. Non solo nella speranza che la visione di uno stesso film metta in moto un’ideazione fertile, ma che quest’ideazione sia in qualche modo simile e riconoscibile in contenuti e allo stesso non priva di quella soggettività che la rende gustosa e stimolante.

Perché se l’oggettività risiede nella condivisione, il dell’atto del condividere sta nel preciso ed incomunicabile gusto dell’esperienza soggettiva. C’è una sorta di “gap” fra le due cose, il soggettivo e l’oggettivo, che è simile allo spazio infinitesimale delle sinapsi, simile alla differenza che crea una differenza e produce un’informazione, ed in cui è forse racchiuso quello specifico genere di energia che crea la Mente, e quindi il Mondo.

È la versione col montaggio originali ed il primo doppiaggio, presa dalla vhs, per me la migliore. Ben diversa dal più recente uncut con un secondo vergognoso doppiaggio e allungata a dismisura.

Buona visone e buona tequila bum bum!

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