SILVESTRE [SubITA]

Titolo originale: Silvestre
Nazionalità: Portogallo
Anno: 1981
Genere: Drammatico
Durata: 118 min. [formato 4:3 nativo]
Regia: 

Fiaba medievale diretta con metodo teatrale ma suggestivo dal portoghese che la presentò alla Mostra di Venezia. Silvia, di don Rodrigo, è giunta all’età per maritarsi. Il pretendente è molto ricco ma anche volgare. Mentre il è alla corte del re, Silvia e la sorella ricevono la visita di un pellegrino. Per vendicare la sorella che viene da costui violentata, Silvia gli taglierà una mano.

Monteiro si riaffaccia sul grande schermo con un’opera insieme estrosa, estraniata, intrigante, improponibile, peccaminosa ed angelica. Chi conosce l’autore/attore (qui fa una comparsata da…re) sa che, più che giocare con le perversioni, è un pervertito strohemiano col nulla osta dell’ e una propizia autoironia. Il sale della di questa fiaba (tratta dai racconti di tradizione orale del XV secolo “A mao do finado” e “A donzela que vai à guerra”) con tanto di cavaliere nero, malefici, arance incantate e draghi, sono le digressioni voyeuristiche (le adolescenti intente a lavarsi nel letto del fiume; la tinozza in cui uno stuolo di fanciulle lava il capofamiglia), le deviazioni nostalgiche (per un in cui gli anziani impalmavano acerbe fanciulle), le depravazioni (la sequenza in cui il “maligno” possiede la sorella mentre tasta la piccola Silvia) e le malizie (l’apprezzamento per le magre: “La carne vicino all’osso è sempre la più gustosa”; il feroce disegno delle due mogli insoddisfatte voraci del fanciullino).

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Lo stile è de oliveiriano, teatrale (fondali di cartapesta alternati a suadenti riprese in esterno), incorniciato a camera fissa per interminabili piani sequenza. La prima, faticosa parte s’accende nei pastelli della fotografia di Acácio de Almeida, curiosa nel suo utilizzo delle tinte unite e nei vari richiami pittorici accompagnati dalle musiche di Monteverdi, Mozart, Scubert e Varèse (splendida la simulazione del graduale della luminosità all’alba). Quando Silvia diventa Silvestre (“uomo” che va in guerra), nella seconda parte, la vena sperimentale sin lì manifestatasi nel profilmico s’insinua nella drammaturgia, caustica, provocatoria (l’immobile combattimento che richiama “San Sebastiano e il Drago”; la dall’azione della battaglia inquadrando un masso), con soluzioni sempre più eccentriche (l’obiettivo che si colora di rosso), consapevoli di possedere nello sguardo l’indimenticabile fisicità dell’androgina protagonista.

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Recensione: spietati.it

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