
Titolo originale: Ikarie XB 1
Paese di produzione: Cecoslovacchia
Anno: 1963
Durata: 88 minuti
Genere: Fantascienza, Drammatico, Visionario
Regia: Jindřich Polák
Sinossi:
Nel 2163, l’astronave Ikarie XB 1 parte per la stella Alpha Centauri con un equipaggio selezionato, deciso a cercare forme di vita extraterrestri e a espandere i confini dell’umanità. Durante la lunga missione, gli astronauti attraversano fenomeni cosmici sconosciuti, incappano in una nave abbandonata proveniente da un’epoca precedente e sperimentano tensioni psicologiche, visioni, paure e desideri amplificati dal vuoto dello spazio. La loro esplorazione diventa così un viaggio dentro sé stessi tanto quanto nell’universo.
Recensione senza fonti:
“Ikarie XB 1” è una di quelle opere che sembrano venire da un futuro che non abbiamo vissuto, uno di quei film che respirano un’idea di spazio diversa da quella hollywoodiana: meno eroica, meno rumorosa, più vicina alla malinconia cosmica di chi guarda l’infinito e capisce immediatamente di essere finito. Jindřich Polák costruisce una fantascienza europea che non ha bisogno di esplosioni o alieni per risultare inquietante. È una fantascienza dell’anima, tutta fatta di corridoi bianchi, silenzi sospesi, conversazioni appena accennate, tensioni che serpeggiano come radiazioni invisibili.
L’Ikarie non è solo un’astronave: è un monastero laico che scivola nel buio interstellare. Ogni membro dell’equipaggio porta con sé un fragile universo personale: piccoli drammi, desideri repressi, fobie che nello spazio diventano specchi deformanti. Lo spazio non li uccide: li rivela. Polák è maestro nel filmare la fragilità umana sotto pressioni cosmiche. In ogni volto si legge la consapevolezza che il viaggio è troppo lungo, troppo lontano, troppo grande per le ossa e per la psiche di chiunque.
Il film ha una potenza estetica micidiale: linee moderniste, bianchi abbacinanti, tecnologia che sembra uscita da un sogno socialista dell’avvenire. Ma è una modernità crepata, incrinata da un presentimento costante di catastrofe. Le stanze della nave hanno quell’asetticità che non tranquillizza: sembrano progettate per essere funzionali anche alle lacrime, come se lo spazio avesse previsto tutto ciò che i corpi non reggeranno. È un mondo che vuole essere perfetto, ma la perfezione è un’enorme solitudine.
L’episodio della nave abbandonata è uno dei momenti più inquietanti del cinema di fantascienza europeo. Non tanto per ciò che si trova al suo interno, ma per ciò che rappresenta: una capsula di un passato violento che torna a disturbare il presente, un monito sulla parte più tossica dell’umanità che non può essere lasciata indietro, neanche quando ci si spinge tra le stelle. È un fantasma storico che si aggira nello spazio: un promemoria di ciò che siamo stati e di ciò che potremmo ridiventare.
“Ikarie XB 1” ha quella lentezza meditativa che a molti sembrerà “antica”, ma in realtà è precisione chirurgica. Polák non vuole mostrarci lo spazio: vuole farci sentire la pressione del vuoto contro il cranio, vuole farci percepire quella sensazione terrea — quasi da sogno febbrile — di essere troppo lontani da casa per ricordarne l’odore. È un film ippnotico, pieno di visioni sfumate, di ellissi poetiche, di umanità che si sfibra lentamente.
C’è poi una tensione sotterranea che sembra presagire la grande fantascienza metafisica che verrà dopo: lo spirito di Tarkovskij aleggia già qui, come una nuvola magnetica che si deposita sulle superfici. È come se “Ikarie” fosse una profezia estetica, un pezzo di cinema che apre la strada a un nuovo modo di raccontare il cosmo: non più un territorio di conquista, ma uno specchio che rimanda indietro l’immagine dell’umanità con tutte le sue crepe.
Il finale, quasi mistico, è una promessa e una minaccia allo stesso tempo: ci suggerisce che il viaggio nello spazio è anche un viaggio verso un’idea di noi stessi più aliena di qualunque civiltà extraterrestre. Se l’universo è infinito, allora infinite sono anche le versioni di noi che potremmo diventare — e questa consapevolezza, più di qualunque creatura aliena, è ciò che davvero fa tremare.
“Ikarie XB 1” rimane un film che pulsa ancora oggi, come una capsula nera in orbita attorno alla nostra immaginazione. È una sinfonia di solitudini, una meditazione sulla fragilità umana, un’avventura che non esplora pianeti, ma ciò che resta della nostra identità quando siamo troppo lontani per sentirne il peso.
