Titolo originale: V.I.P.
Nazionalità: Corea del Sud
Anno: 2017
Genere: Azione, Drammatico, Thriller
Durata: 128 min.
Regia: Park Hoon-jung
Nel 2013 gli occhi degli appassionati di cinema si erano fissati sul nome di Park Hoon-jung; sceneggiatore del folgorante I Saw the Devil di Kim Jee-woon e regista di New World, film che creava un precedente all’interno del noir coreano in quanto a violenza, compostezza, libertà e oscurità. Ma quando al film successivo cambiava genere con The Tiger: An Old Hunter’s Tale i più erano già pronti a definirlo una stella cadente passeggera. Certo, film meno interessante ma con una scrittura comunque riconoscibile e sopra le righe. Nulla di più sbagliato comunque perché il regista torna nel 2017 con V.I.P.
E oltre a dirigere un nuovo noir/thriller incredibilmente colmo e d’autore, piazza inaspettatamente uno dei migliori titoli dell’anno. Nel film c’è tutto quello che c’era nei suoi più riusciti lavori precedenti; una storia complessa, stratificata e corale, un contesto oscuro e un tasso di violenza incredibilmente alto tale da creare un certo scompiglio sia nella commissione di censura locale che da parte di pubblico e critica che si è imbizzarrita come al solito con le classiche accuse pretestuose e ridicole di sessismo.
E si osserva il film con dei dubbi, certo, magari con il bisogno di più visioni per riuscire a capire se quei due o tre momenti che sembrano poco credibili o più pretestuosi siano voluti o si tratti di esili cadute di stile, ma il film è talmente colmo di eventi, location, svolte e personaggi, talmente stratificato da distogliere totalmente l’attenzione dello spettatore e ricondurlo in fretta alla strada maestra. Perché V.I.P. ha il raro pregio di afferrare lo spettatore per lo stomaco e tenerlo incollato alla sedia per due ore abbondanti tesissime e spietate. Come non accade praticamente mai la durata è anzi fin troppo breve per curare magari come sarebbe servito, il carattere e le evoluzioni di ogni singolo personaggio ma si arriva alla fine sperando che il tutto si estingua quanto prima tale è il senso di perturbante, tensione e di disperazione di cui l’autore costruisce un tempio.
Il tasso di violenza è assolutamente sopra la media del genere, una violenza spietata, sia quella in campo che non cela nulla che quella fuori campo quando serve ad indirizzare altrove l’emotività e l’attenzione narrativa.
Tentare di riassumerne la storia, tra flashback, montaggio parallelo ed ellissi è cosa ardita ma V.I.P. narra le vicende di un capriccioso ragazzino figlio di un pezzo grosso nord coreano che diserta e viene “sfruttato” e coperto dalla CIA americana e di rimbalzo dall’intelligence sud coreana. A mescolare le carte è il fatto che il ragazzino in questione sia uno psicopatico serial killer che insieme ad alcuni compagni fa la spola in mezza Asia, torturando, stuprando e massacrando ragazzine per poi riprenderle e venderne i video come snuff movie. Sulle sue tracce un poliziotto nord coreano e uno sud coreano fin troppo simili nei modi che dovranno da soli affrontare un sistema statale internazionale teso a difendere e scagionare l’assassino. Troveranno un inatteso complice ma le cose anziché andare per il meglio andranno sempre peggio, dipanandosi in un estenuante e insostenibile bagno di sangue.
Con questo film Park Hoon-jung si conferma quindi autore di eccellente caratura (il film doveva essere ospitato al Festival di Venezia, ma poi l’invito è stato declinato a causa della data di distribuzione ormai improrogabile), crea un precedente tra le decine di noir prodotti in Corea del Sud spesso troppo uguali tra loro o pieni di debolezze strutturali asperse ad ampie manciate e riesce a realizzare un cinema d’autore fortemente riconoscibile e totalmente libero e coraggioso. Il suo cinema è ad oggi maiuscolo, ed è quello di un autore tra i più interessanti da seguire sul panorama internazionale affiancandosi a quello di nomi ben più noti ma allontanandosi da essi per via di una visione più di genere e sensibilmente più lesiva verso lo spettatore.
Un cinema estremamente vivo ma mortifero, d’autore ma non intellettuale, libero e tagliente, imperdibile. Su questa fascia di stile, genere e livello Park Hoon-jung è ormai il migliore con buona pace di tanti sui colleghi fin troppo celebrati, uno su tutti Na Hong-jin
Recensione: asianfeast.org