
Titolo originale: Toxikoma
Paese di produzione: Ungheria
Anno: 2021
Durata: 124 min
Genere: Dramma, Biografico
Regia: Gábor Herendi
Sinossi:
Basato sulle memorie dell’attore Győző Szabó, Toxikoma racconta la caduta e la rinascita di un uomo intrappolato nella spirale dell’eroina. Dopo essere passato per vari lavori — cameriere, grafico, fabbricante di giocattoli — Győző finisce nel vortice della dipendenza. La sua vita si disintegra: famiglia, lavoro, sogni. Quando decide di iniziare la disintossicazione, incontra il dottor Imre Csernus, psichiatra carismatico e autoritario, che con lui intraprende una battaglia di ego. Dal conflitto nasce una forma di amicizia dolorosa e salvifica, che aiuterà Győző a ricostruire se stesso.
Recensione:
Toxikoma è molto più di un film sulla droga: è un rito di espiazione, uno scontro titanico tra due anime dominate da un potere diverso, ma ugualmente distruttivo. Gábor Herendi decide di portare sullo schermo la tormentata vita di Szabó Győző con la concretezza di chi non vuole edulcorare nulla ma neanche condannare in modo banale. Il regista, noto per le sue commedie famigliari, qui compie un salto di coraggio: entra nel mondo della dipendenza, non come esterno voyeur ma come narratore che vuole comprendere la ferita.
La narrazione si costruisce su un doppio percorso: da una parte c’è lo scivolamento morfologico di Győző, la sua perdita di controllo, la decadenza morale e fisica; dall’altra, l’ascesa e la fragilità di Csernus, figura quasi messianica ma al tempo stesso distruttiva. Herendi non ci regala il salvataggio da eroe: la disintossicazione è dipinta come processo duro, violento, pieno di resurrezioni e ricadute. È la verità della cura, non il mito della guarigione.
Visivamente, il film non indulge nell’estetica del degrado patinato. Gli ambienti sono realistici, gli spazi della disintossicazione fanno paura perché sembrano vuoti e infiniti, e i momenti di uso sono rappresentati con crudezza, ma anche con pietà. La macchina da presa segue Győző con vicinanza fisica e simbolica: non solo per mostrare la sua rovina, ma per farcela sentire come un’esperienza vissuta, respirata.
La sceneggiatura di Dóra Gergely e Márton Bárány è efficace nei dialoghi e nelle sequenze visive: il conflitto tra Győző e Csernus è costruito non come scontro manicheo, ma come danza complessa di potere, vulnerabilità e redenzione. Il dottore non è solo salvatore: è anche specchio oscuro della dipendenza, del bisogno di controllo e del desiderio di essere ricordato.
Il tema dell’ego dominante è centrale: due “maschi alfa” che si confrontano non solo su che cosa significhi dominare, ma su come si guarisce dall’onnipotenza. Herendi usa questa dinamica per esplorare una verità più grande: il potere non risiede né sempre nella forza né nella debolezza, ma nella capacità di riconoscere l’altro come necessario per la propria sopravvivenza.
La colonna sonora e il montaggio lavorano in sinergia per rendere il film un’esperienza emotiva vera, spesso dura, ma mai manipolativa. Le scene di crisi, di caduta e di recupero non sono mai facili — non c’è magniloquenza, ma verità. Lo spettatore viene coinvolto in ogni salto di gradazione: dall’agonia della disintossicazione ai momenti di fragile speranza.
Un aspetto particolarmente potente è la gestione del “dopo”: non è solo la salita dal baratro, ma la costruzione instabile di una nuova vita, dove la tentazione può sempre tornare, ma dove il protagonista ha imparato a camminare con il peso del proprio passato. E la sua amicizia con Csernus non è una redenzione mistica, ma un accordo fragile tra due sopravvissuti.
Il film, nominato a numerosi premi nazionali (tra cui al Magyar Mozgókép Díj), ha avuto anche un buon riscontro di pubblico, diventando uno dei titoli più visti nelle sale ungheresi del 2021.
In definitiva, Toxikoma è un’opera che non offre consolazione, ma restituisce dignità al dolore. Herendi non nasconde la disperazione, ma non ne fa spettacolo: preferisce mostrarla come parte del viaggio dell’anima. È un film che provoca, che scuote, ma soprattutto che fa riflettere su quanto la salvezza non sia mai solitaria: per guarire, a volte, serve l’altro tanto quanto serve la volontà di cambiare.
