Titolo originale: Titane
Paese di produzione: Francia, Belgio
Anno: 2021
Durata: 108 min.
Genere: Drammatico, Fantascienza, Horror
Regia: Julia Ducournau
Alexia adora le automobili, sin da quando, bambina, un incidente le ha donato una placca di titanio nella testa. Facendola rinascere, gonfia di rabbia e amore represso che la trasformeranno in un essere ibrido e nuovo. Perché la metamorfosi si completi, dovrà scoprire la forza potente che muove le cose del mondo: l’essere umani.
Si può trattare un tema caro ai seguaci del politicamente corretto in un modo più che scorretto? La risposta è un SI’ così roboante che viene da chiedersi come sia possibile che qualcuno non ci avesse pensato prima… perché questo, nonostante quanto dicano i detrattori, non è solo il film “in cui una tizia scopa con una macchina”.
Innanzitutto, il film è diviso idealmente in due parti che si distinguono tra loro nettamente per ritmo e ferocia della messinscena: i primi 30/40 minuti sono un turbinio di carne e sangue, nella più sublime delle connessioni tra eros e thanatos. In questa prima parte, che ad una prima analisi sembrerebbe quasi avulsa dal nucleo del film, i colori (rosso e nero su tutti) vi satureranno gli occhi, le orecchie vi esploderanno e le mani si serreranno davanti alla violenza sbattuta in faccia senza concedere nulla all’immaginazione.
La trama è semplice – e difatti qui praticamente non ne parleremo – perché qui le sorprese e i colpi di scena non arrivano dalla sceneggiatura, ma dall’estetica, da singole scene, da musiche e balli. Un certo equilibrio tra elementi del film (il nesso tra il fuoco, il figlio, il padre, la macchina) viene elegantemente presentato con una simmetria tutta protesa a bilanciare o compensare le volontà e i destini dei protagonisti.
Come il lato oscuro di qualcosa che ci piace enormemente, tra la prima e la seconda parte c’è il medesimo dualismo: Alexia diventa Adrien, da predatrice diventa animale in gabbia, il medesimo balletto sensuale che faceva sbavare gli uomini diventa grottesco e ripugnante per quei giovani pompieri che un attimo prima ballavano tra di loro – in una delle scene che più ho amato – mostrando (orrore!) un’omosessualità latente.
In questa contrapposizione, nel gioco preimpostato dei ruoli, a mio parere, va ricercato il nocciolo del film e la Ducournau ci gioca magistralmente utilizzando a proprio piacimento gli attori: il pompiere di mezz’età che non riesce più a stare al passo col testosterone dei suoi cadetti… un Vincent Lindon sopra tutto e tutti, un valore aggiunto che raddoppia l’efficacia del suo stesso personaggio e di tutta la parte di trama che lo riguarda; e lei, Agathe Rousselle, ottima protagonista con un’evoluzione psicofisica impressionante, al limite della trasfigurazione: da avvenente donna-killer a malconcio uomo portatore di vita.
La regista ha davvero stoffa: coglie nel segno con soluzioni variegate e convincenti, una densità e una saturazione nei colori e nelle forme, che contribuisce a render corposo, carnale, ardente ogni passaggio decisivo. Dal gender fluid al transumanesimo, alcuni temi caldi della contemporaneità prendono vigore saldandosi a un passato da cui riecheggiano Cronenberg e Tetsuo alle prese con una versione più focosa di “Christine la macchina infernale” ed in una scena non potrete non pensare persino a Tarantino!
Colpisce nel segno e colpisce duro: il film usa una violenza incalzante ed eccessiva come linguaggio, metodo, strumento per far passare contenuti. Ero molto curioso, vedendo lo sviluppo, di cosa sarebbe accaduto nel finale, che temevo potesse rovinare in parte l’impatto devastante dell’intera visione, invece è davvero ottimo: una soluzione semplice ma per nulla scontata, molto ben realizzata e soprattutto, ancora una volta, equilibrata e con stile! È un film da non perdere, di una regista che, se alla seconda opera ci delizia con una simile gemma, andrà seguita con grande attenzione!
Catsick Blues – Claudio Marucchi