
Paese di produzione: Stati Uniti, Regno Unito
Anno: 2019
Durata: 1 h 55 min
Genere: Documentario, Storico, Psicologico
Regia: Lance Mungia
Sinossi (IMDb):
Due fisici scoprono che le capacità psichiche sono reali, solo per vedere i loro esperimenti allo Stanford Research Institute cooptati dalla CIA e poi messi a tacere a causa dell’esigenza di segretezza. Ma, come questi ‘remote viewers’ e noi spettatori impariamo, “più nascondi qualcosa, più brilla come un faro nello spazio psichico”, e questa verità antica non può essere più soppressa.
Il documentario si prefigura come uno specchio oscuro dell’inconscio collettivo: non è solo espionaggio, ma un ritratto di coscienze clandestine che cercano significato in territori proibiti. Third Eye Spies non rimane alla superficie della Storia: scava la fessura tra realtà e delirio, tra scienza e mito, e ci consegna un corpo di immagini e testimonianze che pulsa ancora dopo che lo schermo si spegne.
L’esperimento politecnico di Stanford diventa un mito fondante, simile a un graffito nascosto nel cuore della Razionalità. Mentre la CIA spalanca l’ingresso alla segretezza, i visionari rimangono intrappolati tra la follia e la profezia. Russell Targ e Hal Puthoff non sono scienziati in camice bianco, sono navigatori dell’ignoto armati di cavi e rituali: ogni sessione di remote viewing è un rito laico che sfida i confini della percezione.
Il documentario è un corpo narrativo frantumato: mescola testimonianze intime, documenti declassificati, interviste a astronauti e ufologi, visioni di medium che usano la mente come una lente. Ma è nella dissonanza tra tono rigoroso e sospetto esoterico che nasce la sua vibrazione più potente. Sei spettatore di una trama che non si risolve, ma deflagra dentro l’immagine: il confine tra verità e propaganda si dissolve come sabbia tra le dita, e il mistero rimane delineato nell’attimo del dubbio.
Il senso di perdita è palpabile: le conoscenze non si evolvono, si seppelliscono. La Storia cancella l’esperimento, ma non la traccia che ha inciso negli strati dell’inconscio geopolitico. Qui risiede la portata politica del film: non è solo che la scienza fu messa in un angolo; è che ciò che ne derivava suonava troppo come promemoria del potere latente insito nel mentale.
La lingua visiva rimane sospesa tra noir da cinegiornale e incubo analogico: bianco annerito, inchiostri su pergamena digitale, titoli che esplodono nella retina come preghiere stonate. Non c’è glamour, ma oscurità che scava, un buco psichico nel centro dello schermo. Il montaggio non rassicura. È frattura, sbilanciamento continuo tra estetica sobria e ritmo esoterico.
Leggendo il brevissimo approccio su 366weirdmovies.com, ho assaporato quel sottile brivido che nasce dall’incontro tra documentario e visionario. Il tono cospirazionista e quasi perverso emerge negli accenni — la CIA, l’era fredda, un astronauta che sorride come uno sciamano evocato dall’aldilà. Lo uso come base: il film risuona di una retorica marginale che trova senso solo negli interstizi della Storia non scritta.
Third Eye Spies non chiede di credere né di demistificare. Ti consegna una visione che rende la mente luogo militare: un campo di battaglia antichissimo in cui la coscienza può essere armata, e dove la vera guerra è tra ciò che vogliamo vedere e ciò che ci viene proibito di conoscere. È lì, in quel conflitto invisibile, che il film trova la sua redenzione.
