Titolo originale: Erogotoshi-tachi yori: Jinruigaku nyûmon
Nazionalità: Giappone
Anno: 1966
Genere: Drammatico, Grottesco
Durata: 128 min.
Regia: Shōhei Imamura
Yoshimoto Ogata (detto Subu) è un commerciante di materiale pornografico, che convive con Haru, diventata matrona della famiglia Matsuda dopo la morte del marito. Tra un passato che si risveglia nei suoi ricordi e i problemi cardiaci di Haru, Subu inizia ad innamorarsi della figlia di Haru, Keiko. Intanto il negozio di barbiere di cui è comproprietario con la donna che aveva amato sino ad ora, è costantemente frequentato da un gruppo di yakuza che cerca con le peggiori maniere possibile di convincere la coppia ad entrare nel loro racket. L’unica via di fuga sembra essere lo strambo laboratorio dove Subu sta costruendo una sex-doll. A raccontarci questa storia del dopoguerra giapponese in bilico tra grottesco e potente analisi sociale è Shohei Imamura, regista nipponico scomparso nel maggio del 2006. “Introduzione all’antropologia” è il ritratto impietoso di un Giappone allo sbando, incarnato nel personaggio di Subu, uomo disposto a tutto pur di soddisfare le sue voglie, tanto da arrivare a chiedere la mano di Keiko alla madre Haru con cui ha convissuto per anni.
Ma se da una parte esiste un Subu voglioso, dall’altra c’è una Haru accondiscendente, tanto da permettere al compagno di sposare la figlia rinunciando non solo al suo amore, ma anche alla sua sanità mentale. L’epilogo ultra-pessimista che vede Haru morire in manicomio, Keiko che dopo un’adolescenza sbandata fa la parrucchiera come la madre e Subu che si è ritirato su una barca dove fa ricerche per costruire la bambola gonfiabile perfetta. Ed è proprio il destino di Subu ad apparire più profetico degli altri, chiarificando già nel 1966 il destino di un Giappone sempre più legato alla rappresentazione umana piuttosto che alla sua forma naturale.
Nonostante la materia abbia chiare fondamenta drammatiche, Imamura decide di usare un tono grottesco enfatizzando con la sua regia fatta di fermi immagine, ralenti e inquadrature azzardate.
Da ricordare in quest’ultima categoria almeno la sequenza dove Subu guarda Keiko da una porta semi-aperta e tutte le scene in cui i personaggi si muovono all’interno delle abitazioni ma sono ripresi dall’esterno di esse, come un occhio che spia dalle loro finestre ma che ha il privilegio poi di entrarvi, indagando sulla loro vita, sul loro destino.
Recensione: pellicolascaduta.it