Titolo originale: Kunsten å tenke negativt
Nazionalità: Norvegia
Anno: 2006
Genere: Commedia, Drammatico, Spirituale
Durata: 79 min.
Regia: Bård Breien
Geirr, rimasto gravemente menomato in seguito ad un incidente stradale, vive in isolamento, è fissato con le armi, si cura da solo ed ha un carattere assai aspro. La sua ragazza non sa più come gestirlo, e decide di invitare a casa sua un gruppo comunale di positività. Ma Geirr trascinerà tutti nella sua spirale di negatività…
Finalmente un film liberatorio ed anticonformista che se ne frega del politicamente corretto e picchia duro sull’ipocrisia della società borghese. Più vicino al cinema da camera ed alla compostezza formale di S Blier che alla presunta improvvisazione di Von Trier il film fa parte di quel cinema scandinavo che riesce ad intrattenere e nello stesso tempo a raccontare la società in cui vive, senza avere paura di affrontarne i tabù . Nel caso specifico a venire demolito è il sistema di pensiero e le azione che riguardano il recupero psicologico delle cosiddette “persone diversamente abili”: terapia di gruppo, assistenza medica domiciliare, pensiero positivo vengono tirati in ballo quando la moglie del protagonista nel disperato bisogno di recuperare il matrimonio messo a rischio da un incidente stradale che lo ha reso tetraplegico si affida ai moderni mezzi del sistema sanitario ottenendone in cambio un unità di supporto modello Ghostbuster capitanata da una venditrice di fumo intenta a confermare le teorie contenute del libro che vuole pubblicare e formata da un accolità di derelitti che dovrebbero essere la prova della giustezza del metodo ed invece ne sono la sconfitta più evidente. Dall’incontro/scontro tra il mondo del dolore reale e quello immaginato ognuno dei protagonisti troverà la sua dimensione e forse una vita più felice. Caratterizzato da momenti di comicità involontaria che non è mai gratuita ma scaturisce dall’assurdità delle situazioni, il film è allo stesso tempo duro e delicato ed ha il pregio di non dare nulla per scontato. Corredato da spunti cinefili che diventano il simbolo di una condizione (il protagonista, giacca verde e capelli spinaciosi, sembra un reduce del Vietnam e fa la roulette russa come Christopher Walken ne “Il Cacciatore” ) e con un crescendo emotivo che sfocia in una catarsi finale inaspettata e liberatoria, il film è un autentica rivelazione e si candida di diritto tra i possibili vincitori del TFF.
Recensione: filmtv.it