
Titolo originale: Sew Torn
Paese di produzione: Regno Unito
Anno: 2024
Durata: 97 min
Genere: Thriller, Noir, Drammatico
Regia: Freddy Macdonald
Barbara Duggen, una sarta ambulante, si trova involontariamente invischiata in un affare di droga finito male. Di fronte a due motociclisti a terra, armi e una valigetta sospetta, Barbara deve scegliere tra tre opzioni: compiere il crimine perfetto, chiamare la polizia o andarsene. Ognuna di queste scelte dà inizio a risultati drasticamente diversi, e la sua salvezza diventa un gioco di sottili fili… letteralmente.
La vita, spesso, è una cucitura fragile tra ciò che scegliamo e ciò che ci sceglie. Sew Torn è l’epifania di questa visione in forma di cinema: un noir filiforme che si disfa e si ricuce sotto il tuo sguardo, un tessuto narrative che vibra come un organetto inceppato ma ossessivo. Freddy Macdonald, presente già come promessa visionaria nei festival SXSW, Locarno e Sitges, non firma solo un film, ma scuote uno schema: un thriller che indossa i panni di Run Lola Run ma con ago e filo, costruendo puzzle temporali che sono infine tracce di un vuoto emozionale.
Barbara Duggen è pietra e frattura. La sua presenza è silenzio, il suo dolore è un cono d’ombra che copre le Alpi svizzere. Ma da questo dramma delicato germoglia un potere: la capacità di usare il filo come prolungamento della mente. Non vedrai mai un ragnatela normale: Barbara costruisce con fili Mettler contorsioni che estraggono pistole, aprono porte, disinnescano minacce. Coulisse Rube Goldberg che fabbricano la sospensione — sopravvivenza estetica. Da sopra ti potrebbe apparire un gioco estetico di contrappesi, ma sotto c’è la vertigine di chi ha perso un’anima e la cuce, con mano ferma, punto dopo punto.
Il film s’impossessa della montagna svizzera, la piega nella forma di una città carnale: edifici lucidi, cieli catturati tra nuvole false, verdi che non rassicurano ma minacciano. Ogni inquadratura vibra con intensità emotiva, tanto che la scenografia — costumi patchwork, dettagli kitsch, aumenti di colore come ferite — diventa portale dentro la tragica fiaba di Barbara. Sew Torn non ti mostra solo che potrebbe andare male: ti lascia esperire l’attesa del crimine, l’eco dell’incertezza, l’ironia dell’“e se”.
Ho rubato sguardi da critiche come quella del Guardian, che segnala come il film sia una versione sartoriale del Run Lola Run, un noir metafisico cucito con ingegnosità e delizia. O da Roger Ebert, che celebra Barbara come regista segreta della sua salvezza. O dai blog cinematografici underground che ammirano la scelta di ambientare il dramma in villaggi sospesi tra mito e sacco postmoderno. Ma qui la riflessione è tua: quanto del nostro destino è filo sottile che tendiamo noi, e quanto è già tessuto nell’abisso che ignoriamo?
La narrazione si spezza in tre capitoli che si rincorrono come figli illegittimi di un’unica occasione mancante. Ogni versione guasta o risuscita il precedente. È un gioco di specchi: Barbara sceglie ma non sceglie; agisce ma è azione già scritta. È una danza tra libero arbitrio e apocalisse quotidiana. Quando il racconto continua, la sospensione si allenta, la tensione sembra riposare, ma è solo illusione: il punto di rottura è sempre uno sguardo, una cucitura che cede, una enumerazione di scelte che ci definisce senza dirci nulla. Eppure, emerge una verità imperscrutabile: è nella pausa tra due decisioni che siamo veramente nudi.
Tecnicamente, il film è un gioiello numinoso. Sebastian Klinger firma una fotografia che è rito visivo: luce chirurgica che taglia il volto come un ricamo, blu accesi che ricordano un passato incantato, interni che grondano memoria. Il montaggio, sapiente opera di Macdonald, giostra tempo e percezione: una sospensione sospesa, un’onda narrativa che sale e affoga nel proprio intreccio. La colonna sonora — fruscii di filo, scricchiolii, respiro sospeso — non accompagna: incide.
Oltre al finale — che non è rivelazione ma sostanza, non risolve, spoglia — Sew Torn è una preghiera al non-sapere, un invito a guardare il crinale tra scelta e oblio. Il film non chiude nulla. Ti lascia il filo tra le dita, e la responsabilità di decidere: continuare a cucire o lasciare andare.
