NE CHANGE RIEN [SubITA]

Titolo originale: Ne change rien
Nazionalità: Francia
Anno: 2009
Genere: Documentario, Musicale
Durata 100 min.
Regia:

 

Per un’oscura forma di contrappasso era inevitabile che un regista come Pedro Costa, da sempre auscultatore del sonoro in presa diretta, finisse per fare un film in cui la musica si conquista tutto il palcoscenico. In realtà un segnale dal portoghese era già stato dato in quanto nel 2005 diresse un cortometraggio propedeutico a questo documentario: stesso titolo, stesso taglio, stesso ipocentro: Jeanne Balibar, attrice francese, ma anche, e soprattutto per Costa, cantante. Il procedimento con cui la Balibar viene avvolta dalle ammalianti spire costiane è lo stesso di Où gît votre sourire enfoui? (2001), quella del portoghese è una presenza ectoplasmica, vera e propria testimonianza oculare di una realtà inzuppata nel buio e aperta da squarci d’argento, lame che rivelano silhouette su un palco, o due occhi, due labbra, e poi la musica in grado di riempire magnificamente i silenzi di una linea autoriale che mai ha concesso qualcosa, slancio sopraffino abile nel cogliere l’estasi in ogni manifestazione canora, dall’esibizione alle mantriche ripetizioni di prova. Ne change rien è uno splendido punto di contatto tra due istituzioni artistiche come il cinema e la musica, la classe che Costa conferisce al suo lavoro manifesta una superiorità schiacciante nei confronti dei film che popolano l’attualità (d’altronde lui aveva già dato prova di trovarsi molto bene col b/n in Blood, 1989), ma tale raffinatezza si rintraccia anche nel garbo di Jeanne Balibar che, sul serio, lascia al cinema la libertà di insinuarsi nel suo vissuto, e la mdp, scaltrissima ladra, le ruba i sorrisi, le indecisioni, le varie difficoltà con cui si deve rapportare nel suo percorso. Dall’incontro di due organismi tendenti alla non poteva che generarsi un film altrettanto impeccabile, sommo contatto assolutamente naturale, accogliente, fra mondi intrinseci che si sostengono a vicenda, campione di cinema che pur indossando lo smoking parla l’alfabeto dell’anima, sussurrando. Etereo, elegante, sublime.

Recensione: pensieriframmentati.blogspot.com

Era inevitabile che, prima o poi, arrivassi a parlarne. Ne change rien infatti, non è solamente un capolavoro ma è anche uno dei miei massimi riferimenti cinematografici, e siccome mi sono spesso trovato a doverlo citare parlando d’altre pellicole credo sia doveroso fare un po’ di chiarezza a riguardo. Innanzitutto, che cos’è Ne change rien? In maniera molto schietta e superficiale: è un incentrato sulla cantante francese Jeanne Balibar, ripresa attraverso lunghi piano-sequenza durante un concerto e durante alcune sessioni di prova e permeata da un’oscurità che la fa come emergere fino a renderla l’unico elemento esistente nell’inquadratura. Ciò che Costa esibisce, dunque, non è tanto l’arte – cinematografica o musicale – quanto la poiesi – il porsi e il farsi – dell’arte, e la cosa folgorante di Ne change rien è che questa poiesi artistica, quest’arte embrionale, in fase di sviluppo è già di per se stessa arte concreta, se non addirittura compiuta. John Dewey, in linea con la sua filosofia pragmatista, elaborò una concezione estetica secondo la quale il fine, cioè l’opera d’arte, non è distinta dal mezzo che s’impiega per realizzarla, che è sia la creatività dell’artista che il materiale (la voce, la mdp) utilizzato; in questo senso, la pellicola di si orienta in una direzione pre-artistica, in cui l’arte si va facendo, per far emergere l’essenza stessa dell’opera d’arte dall’opera d’arte, essenza che è l’arte, ovverosia l’evento a cui la singola opera partecipa nel momento in cui si fa opera d’arte. È una riflessione intima, quella proposta da Pedro Costa, paragonabile soltanto a quella attuata da Pereda in Todo, en fin, el silencio lo ocupaba (Messico, 2010, 62′), dove però la posta in gioco era ben altra, ed è una riflessione intima nel senso che non coinvolge soltanto l’interiorità di Costa in quanto persona ma pure – e soprattutto, direi – di Costa in quanto regista; quando Croce sosteneva che l’arte fosse fondamentalmente forma e che, come tale, fosse puramente interiore e non avesse quindi nulla a che fare con l’estrinsecazione in opere, di fatto non faceva che ammettere una cosa, e cioè che l’arte non si trovi altrove se non l’interiorità dell’artista, che può, sì, materializzarla in un dipinto o in un film ma che, se non così non facesse, di certo non caverebbe all’arte il proprio statuto ontologico: ecco, Costa fa sostanzialmente questo, si pone prima dell’opera, prima della sua materializzazione per scovare l’interiorità dell’artista, che è il luogo, la caverna in cui sonnecchia e vive l’arte. Così, l’opera d’arte viene svelata nella sua intimità, che è, sì, di essere un’opera d’arte ma in quanto opera dell’arte, e la cosa magnifica è che scoprendo questo retroterra dell’arte musicale Costa mostra un territorio prettamente cinematografico, perché il non-ancora-musica è la musica del cinema: è l’ἀλήθεια di cui parlava Heidegger, nel suo essere al contempo velatezza e svelamento (in questo caso velatezza della musica e svelamento del cinema, colto in quella che si potrebbe definire l’immagine del cinema, intendendo con ciò un analogo cinematografico dell’immagine del pensiero deleuziana). Si ricorderà quando Epstein, in visita a degli studi di registrazione del suono a Londra, si lamentava del fatto che la musica, nel cinema, non fosse mai immanente, propria del cinema ma fosse come un qualcosa d’altro rispetto a esso o, più banalmente ancora, un suo pleonasmo, e si resterà dunque afasici nel veder tradotto il non-ancora-musica in una musica specificamente cinematografica. Insomma, Pedro Costa fonde teoria e pratica del cinema, rinvenendo in questa strana sintesi alchemica un oggetto anomalo e ammaliante, che è appunto Ne change rien: un film fondamentale, di quelli da vedere a tutti i costi per aver più chiaro l’odierno baricentro in cui convergono le potenzialità cinematografiche, che si ritrovano infine sprigionate nel successivo lungometraggio del portoghese, Cavalo dinheiro (Portogallo, 2014, 104′), il quale è a tutti gli effetti una delle opere più grandi della storia del cinema proprio in quanto ritrova nella pellicola del 2009 il sostrato che lo fonda e lo fa essere.

Guarda anche  LAWN DOGS [SubITA]

Recensione: emergeredelpossibile.blogspot.com

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