Titolo originale: Nam-mae-wui yeo-reum-bam
Paese di produzione: Corea del Sud
Anno: 2019
Durata: 105 min.
Genere: Drammatico
Regia: Yoon Dan-bi
Presentato nel concorso Torino 38, dopo l’anteprima di Rotterdam, Moving On è il primo lungometraggio della regista sudcoreana Yoon Dan-bi. La filmmaker fotografa un ritratto familiare in disfacimento, con la disgregazione dei valori della tradizione patriarcale e del culto degli antenati. Echi da Ozu, Hou Hsiao-hsien, Kore-eda e Ann Hui.
Un estate dal nonno
Okju, una ragazza diciassettenne, con il fratellino Dongju e il padre, andato in rovina, si trasferiscono a casa del nonno durante le vacanze estive. Mentre Dongju si adatta bene alla sua nuova casa, Okju si sente a disagio in questo nuovo ambiente. Subito dopo si trasferisce anche la loro zia prossima al divorzio. Quando il nonno si ammala, padre e zia decidono di mandarlo in una casa di riposo e vendere la casa. [sinossi]
Questa zona non si sta riqualificando, come succede a Seoul. Lo dice una potenziale acquirente della casa che in tal modo vuole contrattare sul prezzo. Si tratta dell’abitazione del nonno, dove si svolge il film Moving On, primo lungometraggio per la regista sudcoreana Yoon Dan-bi, presentato nel concorso di Torno 38 dopo l’anteprima nella sezione Bright Future dell’IFFR 2020. Abbiamo così un’indicazione geografica del luogo indefinito dove si svolge la storia, nella provincia, lontani dal centro economico pulsante del paese. Nella casa del nonno si riuniscono tre generazioni di una famiglia, i nipoti Okju, una diciassettenne alle prese con i turbamenti tipici della sua età, il fratellino Dongju di 9 anni, con il loro padre divorziato e fallito. Non è chiaro il motivo del loro trasferimento, quella che sembra una vacanza estiva ha tutta l’aria di diventare una soluzione residenziale permanente, probabilmente per evitare le spese della loro abitazione. Saranno raggiunti anche dalla zia, prossima al divorzio. La casa del nonno è molto grande e richiama la tradizione. Alle pareti sono appese delle stampe tradizionali a inchiostro. Anche se non si trova in campagna, la casa dispone di un grande orto, cui il nonno si dedica. Possono nutrirsi della verdura coltivata, cosa che per il piccolo Dongju rappresenta una novità: il padre gli deve spiegare quali siano i peperoncini che manda a raccogliere.
Quello di Yoon Dan-bi è un delicatissimo ritratto di una famiglia in una società in trasformazione. Nella nuova abitazione si crea una complicità tra i familiari che si divideranno, tra uomini e donne, nella convivenza, nel dormire insieme, su tappeti, riparati da zanzariere. La giovane e insicura ragazza si confiderà spesso nella zia, prodiga di consigli, la zia che, prossima alla separazione, prova il sollievo di non aver avuto figli. Divertente la scena in cui la donna raccomanda alla ragazza di selezionare i ragazzi con la testa a posto, mentre stendono insieme le loro mutandine femminili. La zia surroga il ruolo di madre e al tempo stesso è sua confidente, come una coetanea, in un comune senso di femminilità.
Okju è nel pieno dei turbamenti e delle insicurezze tipici della sua età. Ha un fidanzato con cui si trova sulle panchine di una piazza, ma non è certa dei sentimenti di lui: è sempre lei che deve chiamarlo al telefono, lui non fa mai il primo passo per avviare una conversazione. Si sente insicura, non accetta il suo aspetto fisico, tant’è che arriva al punto di chiedere al padre di prestarle dei soldi per un intervento di chirurgia estetica, secondo una triste moda che imperversa tra i giovani della Corea del Sud, ovviamente un intervento agli occhi seguendo il modello estetico occidentale. Indossa spesso un cappello con la visiera bassa, come a nascondere i suoi occhi. E porta una T-shirt con la scritta, in inglese: «Love is short, forgetting is long». Con il fratellino, nel pieno della sua infanzia spensierata, non può esserci molto dialogo. Va in escandescenze quando scopre che si è visto con la madre, con cui lei ha tagliato tutti i ponti, ma allo stesso tempo è molto protettiva con lui e non riesce a dirgli che il nonno è morto, quando lo apprende. Qui lo spettatore è messo allo stesso livello di conoscenza del bambino: sentiamo che arriva la telefonata e ci aspettiamo il peggio, visto che l’anziano era ormai ricoverato, ma non ci viene dato di sentire la voce di chi sta chiamando. Lo spettatore è tenuto in un limbo di incertezza e angoscia per un po’, indeciso se fidarsi della ragazza che dice al fratellino che il nonno sta bene, o pensare che abbia mentito per non turbare il bambino.
La generazione di mezzo appare quella più mediocre. In quel microcosmo di coabitazione dove si rinsaldano i legami familiari, da una parte, rimangono anche tante cose che vengono tenute nascoste. Così quando Okju cerca di vendere una partita di scarpe, dello stabilimento del padre a sua insaputa per recuperare la somma necessaria all’intervento estetico, si viene a sapere che sono scarpe di marca contraffatte e che l’attività del genitore si basava quindi su falsificazioni. Yoon Dan-bi guarda indubbiamente a tanto cinema orientale, a In vacanza dal nonno di Hou Hsiao-Hsien, oppure a My American Grandson di Ann Hui, o ai ritratti famigliari di Kore-eda. Ma all’orizzonte non può che profilarsi l’insegnamento di Yasujiro Ozu. Il padre e la zia di Moving On non aspettano neanche che il nonno sia morto, come la protagonista di Viaggio a Tokyo i cui parenti si contendevano abiti e beni, per mettere in vendita la casa, quella casa che li ha accolti.
Yoon Dan-bi racconta dei valori tradizionali, ancora presenti nella provincia sudcoreana ma in disfacimento, il patriarcato confuciano, il culto degli antenati, in una società in fase di avanzata modernizzazione con il suo galoppante materialismo. «Pare che anche Gandhi fosse un criminale»: è la constatazione del piccolo e innocente Dongju che ha appreso da un libro di storia. Nulla si può salvare, nulla è moralmente certo come una delle figure storiche che la vulgata ha sempre visto come una delle più positive. La disillusione estrema e desolante che restituisce il film.
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