
Titolo originale: Mammalia
Paese di produzione: Romania, Germania
Anno: 2023
Durata: 88 minuti
Genere: Drammatico, Visionario
Regia: Sebastian Mihăilescu
Sinossi:
Cavi si ritrova improvvisamente tagliato fuori dalla relazione con la sua compagna Dora, attratta da un collettivo femminile che pratica rituali corporei criptici e invadenti. Travolto da un caos emotivo che non riesce a nominare, l’uomo vaga in un universo parallelo fatto di performance inquietanti, ruoli scomposti e desideri che mutano forma. Più cerca di ritrovare se stesso, più la sua identità evapora.
Recensione:
Mammalia è uno di quei film che ti lasciano addosso un nervoso sotterraneo, quasi animale, come se qualcosa avesse camminato sul fondo della tua mente mentre non guardavi. Mihăilescu costruisce un’opera che sembra una sonda infilata nelle zone più fragili della mascolinità contemporanea, ma invece di giudicare o spiegare, sbriciola tutto dall’interno. Non c’è psicologia lineare, non c’è narrazione consolatoria: c’è un uomo che smette di essere il protagonista della propria vita e ne diventa l’osservatore spaventato.
Il film lavora su un’idea semplice e devastante: cosa succede quando i rituali sociali, le aspettative affettive e le definizioni culturali del genere cominciano a scivolarti di mano? Cavi non capisce Dora, non capisce il collettivo femminile che la circonda, non capisce perché all’improvviso il suo ruolo nella coppia sembri diventato un oggetto vecchio lasciato in soffitta. Il mondo gli sfugge, e noi con lui.
Mihăilescu filma tutto con un gelo quasi clinico, come se le emozioni fossero esperimenti biologici in un laboratorio troppo illuminato. Le performance del collettivo femminile — oscillanti tra arte, ipnosi e umiliazione sottile — non hanno la funzione di “provocare”. Sono specchi incrinati in cui Cavi viene costretto a guardare la propria confusione, il proprio narcisismo ferito, il proprio terrore di non servire più a nulla. Ogni scena sembra dire: ecco cosa succede quando l’identità che credevi solida si rivela un artificio.
Il corpo diventa il vero campo di battaglia. Corpi esposti, corpi in prova, corpi manipolati. Corpi che parlano una lingua che Cavi non capisce, e proprio per questo lo spaventano. Il film sembra suggerire che la mascolinità fragile non esplode, si sbriciola. Non colpisce, si ritira. E nel suo ritirarsi, diventa spettro.
L’atmosfera è impregnata di un’ansia che non viene mai dichiarata, ma che si incunea in ogni silenzio, in ogni stanza spoglia, in ogni dialogo che finisce prima di cominciare. Ci sono momenti in cui Mammalia sembra quasi un horror soft, un incubo lubrico senza mostri, dove l’orrore è la possibilità di non avere più un posto nel mondo. La sensazione di sradicamento è così intensa da sembrare fisica.
E poi c’è Dora, figura magnetica nella sua opacità. Il film non la spiega perché non vuole “giustificare” la sua metamorfosi: vuole proteggere la sua autonomia. È l’uomo, per una volta, a non essere il motore della storia. È lui il perturbato, il disallineato, quello che non ha accesso al linguaggio del nuovo mondo che si sta aprendo. E Mihăilescu è onesto nel mostrare quanto questo faccia male.
Mammalia è un requiem per l’identità maschile quando resta nuda, disabituata al silenzio degli altri. È un film che funziona come trappola emotiva: ti spinge dentro la confusione di Cavi, ti fa provare il suo senso di perdita, e ti lascia lì, senza bussola, a sentire quanto sia fragile tutto ciò che credevi “naturale”. Sembra un rito di passaggio, ma senza promessa di rinascita.
Un’opera disturbante, magnetica, che non vuole piacere. Vuole insinuarsi. E ci riesce, come un graffio che non brucia subito ma comincia a bruciare quando pensavi fosse passato.
