
Titolo originale: Magalí
Nazionalità: Argentina
Anno: 2019
Genere: Drammatico, Esoterico,
Durata: 80 minuti
Regia: Juan Pablo Di Bitonto
Magalí, infermiera trentacinquenne e madre single, vive a Buenos Aires lontana dalla sua terra natale nel nord dell’Argentina. Alla morte improvvisa della madre, è costretta a tornare nel remoto villaggio andino da cui proviene per occuparsi del figlio che aveva lasciato lì anni prima. In un paesaggio ancestrale e sospeso nel tempo, Magalí si ritrova a fare i conti con un mondo impregnato di rituali, memorie e spiriti: una comunità che vive ancora in simbiosi con la Pachamama e dove il confine tra il visibile e l’invisibile è tenue come il vento che attraversa la puna.
Juan Pablo Di Bitonto, con Magalí, mette in scena un ritorno che è anche una rinascita. Ma non si tratta del classico viaggio verso casa: questo è un pellegrinaggio nell’invisibile, un lento scavo esistenziale in cui ogni gesto, ogni sguardo, ogni silenzio diventa carico di una spiritualità ferita. Magalí è una donna alienata, moderna, urbana, che ha tagliato il cordone ombelicale con le sue radici – non per ribellione, ma per sopravvivenza. Eppure, la morte della madre – madre di sangue ma anche madre simbolica, terrestre, sacra – la richiama, come un richiamo mitico.
Il ritorno a casa è un confronto con ciò che non può essere razionalizzato: il figlio lasciato dietro, la comunità che vive ancora dentro il ciclo della terra, le credenze ancestrali che non sono superstizioni ma codici invisibili di una saggezza antica. Il regista non impone il suo sguardo ma lo lascia filtrare come nebbia tra le montagne: non ci sono spiegazioni, solo presenze. Le immagini sono lente, meditative, eppure cariche di tensione metafisica. Come se in ogni scena qualcosa stesse per manifestarsi, ma rimanesse appena fuori campo.
L’elemento mistico è centrale ma mai dichiarato. La Pachamama non è una divinità da altare, ma un’entità onnipresente che respira nel vento, nei riti funebri, negli sguardi muti degli anziani. Il cinema di Di Bitonto si colloca esattamente in quella zona dove il reale si frantuma nell’invisibile, dove la morte non è fine ma passaggio. Magalí, riassumendo il trauma della perdita, dell’abbandono e della colpa, intraprende un percorso di riconciliazione che non ha nulla di urbano o razionale: è un percorso sacro, oscuro, femminile.
E c’è anche un sottotesto politico: l’Argentina frammentata, le donne che si fanno carico del passato, la migrazione interna che è sempre anche fuga e rifiuto, e che richiede – per essere guarita – un gesto rituale di ritorno.
Magalí è un film che non cerca lo spettatore, ma lo attende. Come una voce nella nebbia, lo chiama piano. Sta a noi decidere se rispondere.
