
Titolo originale: Lèvres de sang (Lips of Blood)
Paese di produzione: Francia
Anno: 1975
Durata: 87 min
Genere: Horror, Fantastico, Visionario
Regia: Jean Rollin
Sinossi:
Frederic, un uomo ossessionato da un ricordo infantile, vede in una fotografia un castello che lo catapulta in visioni misteriose. È spinto a cercare quella donna in bianco vista da bambino, detenuta in un castello infestato da vampiri femminili, scatenando un incubo che unisce memoria, desiderio e orrore.
Lips of Blood non è un film con una trama. È un ballo crepuscolare dove sogno, erotismo, e dissolvenza si intrecciano come un tulle di sangue. Jean Rollin orchestra un poetico duello tra nostalgia e desiderio, e lo fa con un lirismo che brucia lento sulla pelle dello schermo. Il protagonista, Frederic, è un’anima sospesa tra l’infanzia e l’assenza, e la città — o meglio, il castello — è uno specchio della sua memoria lacerata.
Le donne vampiro di Rollin sono specchi in carne viva: non sono seduttrici cliché, ma visioni di potere e malinconia incarnata. C’è una scena che molti hanno chiamato memorabile: le vampiresses avvolte in vesti traslucide, illuminate come icone disturbate da un vento che le anima come spiriti imprigionati. Il corpo femminile qui è sacro e pericoloso, erotico ma mai volgare — un artefatto di bellezza notturna che sfida lo sguardo.
Il film lavora per immagini scolpite nel crepuscolo: cimiteri sommersi, spiagge vuote, cercatori e fughe senza suoni, salvo qualche nota rarefatta di pianoforte — e poi il colmo: una bara che galleggia verso il mare, un lampo di surreale che ti perfora la retina. Non è stato un successo al botteghino, ma tra i cultori Rollin è celebrato come un prosatore del fantastico — e qui abbandona ogni cliché per costruire un canto oscuro tra memoria e sangue.
Ho letto in forum di adoratori del weird che Lips of Blood è come un sogno maledetto che ti abita dopo che lo spegni; altri lo definiscono “il Rollin più autentico e struggente”, dove passato, incesto, e architetture decadenti si compongono in un poema visivo. Quel tono lento, ipnotico, seduce ancora oggi chi cerca nell’orrore una carezza impossibile.
Nel suo cinema, Rollin usa meno la logica e più la resistenza: è un flusso, non un racconto, è elegia di ombre e labbra bagnate di cielo notturno. Se Lips of Blood è per pochi, è solo perché il suo incanto è violento e fragile insieme.
