The Awakening – Aftermath – Genesis
The Awakening:
Uno studente di un liceo si addormenta durante una lezione. Quando si sveglia scopre che il tempo si è fermato, eccetto per lui…
Aftermath:
Quando tutti gli altri se ne vanno, l’ultimo anatomopatologo rimasto inizia ad accarezzare i cadaveri. Poi rapidamente si dirige verso il cadavere di una ragazza morta in un incidente d’auto, le toglie i vestiti e inizia ad eseguire il suo macabro “lavoro”.
Genesis:
Uno scultore è sconvolto per la morte della moglie in un incidente d’auto. Decide quindi di costruire una statua in sua memoria. Ma quando la realistica statua comincia a sanguinare attraverso le crepe nell’argilla, anche la carne dell’uomo comincia a mutare e a necrotizzarsi…
Premessa: questo articolo risale a qualche anno fà e attualmente, può sembrare alquanto insolito rispetto i parametri mediamente prefissati nel mio blog (dei tre film di seguito segnalati, infatti, solo l’ultimo – Genesis – è presente tra le pagine di Visione Sospesa in quanto, tra i lavori di Nacho Cerdà, è sicuramente quello più affine al cinema solitamente perseguito). Ho deciso così di recuperarlo, nella sua integralità, ma con l’ovvia aggiunta di qualche correzione, per due motivi: il primo coincide semplicemente con una questione di tempo, che in questo periodo mi tiene impegnato su altri fronti, lasciandomi così minor spazio alla scrittura e alla visione di film. Il secondo, che al contrario reputo utile (magari per un futuro ampliamento di rubriche) alla collaborazione con Caden e il suo blog, nasce da una nostra chiaccherata sul cinema horror (specialmente di vecchia formazione); un genere che, al di là degli stili proposti nei rispettivi blogs, ci appassiona piacevolmente entrambi.
Come per gli altri appuntamenti, in fondo all’articolo troverete i link diretti alla visione dei film.
L’istante tra la vita e la morte. L’estremo confine tra sesso e morte. L’intenso desiderio che rigenera la vita.
Tre cortometraggi, tre opere significative che percorrono silenziosamente il percorso verso, durante e oltre, quell’inevitabile attimo che prelude alla fine di tutto.
The Awakening
1990
8 minuti
Nacho Cerdà, classe 1969. Il regista spagnolo esordisce con questo cortometraggio in bianco e nero, fin troppo breve per riuscire ad approfondire il tema trattato, ma su cui si baseranno già le fondamenta per la sua visione “ultraterrena”: un giovane studente in aula, durante la lezione, apparentemente si addormenta per risvegliarsi pochi attimi dopo accorgendosi che tutto intorno a lui si è fermato. Il professore (interpretato dallo stesso Cerdà) rivolto verso la lavagna, i compagni intenti ed immobili ad osservare. Il ragazzo guarda l’orologio appeso al muro, fermo sulle 13,27, poi guarda il suo orologio che invece continua a far scorrere il tempo. Preso da un attimo di panico corre verso la porta, che non riesce ad aprire, mentre dall’altra parte capiamo che anche le altre persone all’interno della scuola sono ferme. Rapidi flashback dell’infanzia cominciano ad apparire nella sua mente, ad intermittenza, sempre più veloci finchè la consapevolezza di quello che sta realmente accadendo (e che noi abbiamo già intuito quasi fin dall’inizio) prende il sopravvento nell’attimo in cui il protagonista si vede disteso a terra, privo di vita, accerchiato dai compagni mentre il professore le effettua un massaggio cardiaco. Bellissimo il finale, in cui nel volto del giovane, si nota l’espressione di rassegnazione, mentre alla sua sinistra appare una giovane donna che lo invita a seguirlo attraverso quella porta, fino a pochi minuti chiusa ed ora, varco di transito verso l’aldilà. La prima visione di Cerdà, tenta dunque di analizzare la sensazione che si potrebbe provare nell’istante del trapasso ma al contempo, anche sondare quei fenomeni più reconditi che vengono comunemente definiti “Viaggi astrali”, ovvero il distacco momentaneo dell’anima dal corpo. La piramide con l’occhio che spesso appare durante i flashback, potrebbe infatti valorizzare l’ipotesi che il giovane non sia realmente morto, ma stia appunto vivendo uno di questi viaggi e che in molti, secondo varie testimonianze, dicono di aver vissuto.
Aftermath
1994
32 minuti
Se in The Awakening la morte è rappresentata sotto l’aspetto ultraterreno, con Aftermath (il più estremo della trilogia, quindi occhio prima di accostarsi alla visione, se non si ha più che uno stomaco di ferro) il regista affonda invece nel ben più realistico terreno della perversione sessuale, mostrandoci una delle devianze che più inorridiscono l’immaginario collettivo: la necrofilia. Se retrocediamo un attimo nel tempo, già vari registi si erano cimentati sul tema: Joe D’amato (Buio Omega), Marijan David Vajda (Mosquito the Rapist), ma prima ancora ci fu Riccardo Freda, con L’Orribile Segreto del Dr. Hickock (1962). Solamente un altro regista, però, lo ha affrontato a cosiddetto “schermo pieno”: trattasi del tedesco Jorg Buttgereit, che con il suo dittico Nekromantik, alla fine degli anni ’80 inaugurò una tendenza di film estremi, diventando ben presto un punto di riferimento per molti splatterofili in tutto il mondo. Precisiamo subito che tra i film di Buttgereit e l’opera in questione di Cerdà, emerge però una notevole differenza. Quest’ultima si discosta nettamente dal puro cinema di genere e d’exploitation per accostarsi molto più elegantemente all’arthouse, grazie ad uno stile impeccabile che lo spagnolo delinea con estrema precisione chirurgica; dai minuziosi dettagli, a una patina fotografica incentrata sui toni freddi che ben si accostano alla glacialità della sala autopsica che localizza il dramma. Dal bianco e nero in formato 4:3 di The Awakening, si passa al colore su formato 16:9, il gore è ai livelli limite della sopportazione e visivamente, supera i più artigianali effetti presenti invece nei film del tedesco. Aftermath, inaugura le danze con l’inquadratura di un cane ridotto a poltiglia sull’asfalto, filo conduttore per mostrarci le gesta di un folle medico patologo interpretato dal bravissimo Pep Tosar (attore che verrà riutilizzato da Cerdà anche per il successivo Genesis). Il corpo, diventa in questo cortometraggio, un mero oggetto per il libero sfogo ai più belluini istinti (di)sumani; dapprima assistiamo a una necroscopia che ci riporta alla mente The Act of Seeing with One’s Own Eyes, documentario di Stan Brakhage del 1971. Il protagonista osserva un collega intento a segare crani e toraci, mentre nella sua mente inizia a crescere l’irrefrenabile pensiero del dopo. Quel dopo, raggelante al solo pensiero, è rappresentato dal cadavere di una giovane donna morta in un incidente stradale, lo stesso in cui ha trovato la morte anche il cane che vediamo in apertura. Il protagonista si barrica all’interno della fredda sala e, in un crescendo di tensione accompagnato dalle sinfonie di Mozart in sottofondo, dopo aver infierito sul corpo inerme con un coltello, conclude il suo atto necrofilo immortalandosi con l’autoscatto. Dopo aver ripulito con meticolosa cura maniacale il reparto (facendoci intuire che l’atto è un’abitudine regolare e non un caso isolato), il medico fa ritorno a casa… Attenzione, la sequenza finale (che ovviamente non vi svelerò) è un autentico clichè del genere, e può essere interpretata in vari modi.
Genesis
1998
30 minuti
La poetica di Cerdà raggiunge la perfezione con quest’ ultimo capitolo della trilogia (personalmente, il migliore), confezione ancora più elegante di Aftermath, una meticolosa cura dei dettagli e formato panoramico. Genesis si presenta come un insolito melodramma dalle tinte horror, dove il ricordo di un amore e l’immenso desiderio di poterlo rivivere fonda alla radice dell’opera. Un’opera intrisa di malinconia dove la morte viene oltrepassata, e l’ultraterreno, a differenza di The Awakening, è qui composto di carne e sangue; marmo e sabbia. Il processo vita/morte viene invertito, Cerdà rivisita il mito di Frankenstein e ne fà la sua personale visione, una visione che è puramente dettata da un amore incancellabile. Uno scultore (sempre Pep Tosar, protagonista di Aftermath) perde la moglie in un tragico incidente d’auto. Per onorarne la memoria decide di realizzare una statua che ne rappresenta le fattezze, ma qualcosa d’inverosimile sta per accadere. Una mattina al risveglio, il protagonista viene colto da epistassi e, successivamente, nota che la statua della moglie presenta dei solchi sanguinanti in varie parti del corpo. A nulla serve il lavaggio che le viene effettuato, le ferite riaffiorano ancor più numerose. La sera stessa l’uomo, osservandosi allo specchio scopre che anche il suo corpo presenta delle lesioni. Il processo d’inversione è iniziato, e a questo punto, lo spettatore può benissimo intuire come si evolverà la situazione; da un lato la statua riprende vita, il gesso lentamente si liquefa per far riemergere nuovamente la carne, viva e pulsante, generata da un amore che ha superato la barriera dell’oltre. La controparte è rappresentata dal processo inverso; la carne dell’uomo muta in marmo, il suo sangue in sabbia, le articolazioni s’irrigidiscono. Il corpo si trascina sofferto ai piedi della statua, un ultimo sguardo ai filmini di famiglia costantemente proiettati, dove il volto della moglie impresso nella pellicola si fonde con quello che sta per rinascere, un tentativo soffocato di poter dire qualcosa… Poi l’alba; la luce che filtra dalle finestre del laboratorio illumina la donna nella sua “palingenesi”. Di fronte a lei una nuova scultura ha preso forma, con un braccio ancora teso in sua direzione. L’occhio è l’unico, importantissimo elemento a cui non è ancora stata negata la visione della vita, per un ultimo, brevissimo e intenso istante, lo sguardo dell’uomo riesce ad incrociare quello dell’amata, prima di chiudersi definitivamente sull’oscurità.
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